Oltre al Fatto Quotidiano, anche la trasmissione Report di Rai Tre, condotta da Sigfrido Ranucci, ha ‘tifato’ in questi anni per la condanna dei vertici dell’Eni, dando quindi credito alle calunnie di Piero Amara e Vincenzo Armanna e sposando i teoremi della Procura di Milano e del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale. Ieri abbiamo raccontato come i giornalisti del Fatto, ultimamente sotto tono per come si è concluso il processo per corruzione a Milano, chattassero spessissimo con l’ex manager Armanna alla ricerca dei messaggi ‘compromettenti’ che quest’ultimo si sarebbe scambiato con l’ad del colosso petrolifero Claudio Descalzi. Messaggi che dovevano rappresentare la pistola fumante circa l’attività corruttiva posta in essere dai vertici di Eni per aggiudicarsi i giacimenti in Nigeria.

I messaggi incriminati erano però il frutto di un taroccamento di bassissimo profilo, essendo stati ‘autoprodotti’ dallo stesso Armanna che aveva interesse a vendicarsi contro il management del cane a sei zampe che lo aveva licenziato in tronco per una storia opaca di rimborsi spese illecitamente percepiti. Il pm Paolo Storari aveva subito mangiato la foglia, capendo che qualcosa non tornava, ed infatti voleva arrestare sia Amara che Armanna per calunnia. Inoltre, aveva invitato De Pasquale, il capo del dipartimento contro la corruzione internazionale e primo assegnatario del fascicolo nei confronti dei vertici di Eni, a far presente tale situazione ai giudici del dibattimento, senza ottenere riscontro. La conseguenza dell’inerzia della Procura fu quella di non bloccare le torbide manovre dei due mestatori.

I numeri di telefono da cui sarebbero partiti questi fantomatici messaggi, accertò Storari, non erano neppure attivi. Se il Fatto ha pubblicato le chat tarocche, fidandosi della spiegazioni date da Armanna ai suoi giornalisti, la vicenda che riguarda Report è ancora più imbarazzante trattandosi di una trasmissione del servizio pubblico e quindi pagata con i soldi dei contribuenti. I messaggi che Armanna si scambiava con i giornalisti della Rai, come per il Fatto, sono contenuti nelle informative del nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza depositate in Procura a Milano a seguito del sequestro del cellulare dell’ex manager e dell’estrapolazione del suo contenuto.

Il 6 aprile del 2019, pochi giorni prima della messa in onda della puntata di Report dedicata a questa vicenda, uno dei giornalisti investigativi di punta della scuderia di Ranucci scrive ad Armanna. Ha delle perplessità sulla “genuinità” dell’intervista ad Amara. Sospetta che Amara e Armanna si siano messi d’accordo per “fregare” Granata. I giornalisti di Report, per fare il servizio, avevano intervistato sia Amara e Armanna. E i due dicevano sostanzialmente le stesse cose, mettendo in cattiva luce la figura di Granata. Armanna, in particolare, racconta di una maxi mazzetta pagata da Granata e fatta arrivare direttamente in Nigeria con un aereo dell’Eni.

Scrive il giornalista: “Buongiorno, ma non è che tu e Amara vi siete messi d’accorso per fregare Granata? Le vostre interviste sono fin troppo uguali”. Armanna nega subito. “Scherzi! Non lo vedo ne sento ne ho contatti da più di un anno …. Quello che ti ho detto di Granata l’ho sempre pensato e detto”. Tanto basta per dissipare i dubbi del giornalista. La puntata, dal titolo “Amara verità” e con le interviste ‘fotocopia’, nonostante le iniziali perplessità, andrà regolarmente in onda e in studio Ranucci arriverà anche a raccontare un’altra delle rivelazioni ‘esclusive’ di Amara: la circostanza che l’Eni si sarebbe mossa per stoppare la puntata della trasmissione con la testimonianza di Armanna su Granata. Secondo il racconto farlocco di Amara, per stoppare la trasmissione Rai si sarebbe addirittura attivato il deputato dem Luca Lotti, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e renziano di strettissima osservanza. Ovviamente era un’altra balla.