Dopo anni di indagini e depistaggi messi in piedi dall’Egitto per ostacolare l’indagine sul rapimento e l’omicidio di Giulio Regeni, si è arrivati al giorno del processo. Le manovre, reiterate nel corso del tempo da parte delle autorità egiziane, puntavano a impedire lo svolgimento del procedimento. Il primo impedimento formale alla celebrazione del dibattimento che è cominciato oggi davanti alla terza sezione della corte d’Assise di Roma è l’assenza degli imputati.

Al generale Tariq Sabir e i colonnelli Mohamed Athar Kamel, Uhsam Helmi Usham e Magdi Ibrahim Sharif, appartenenti alla National security del Cairo, non è stata formalmente notificata loro la fissazione del processo, perché l’Egitto non ha mai risposto alla rogatoria con la quale la Procura di Roma chiedeva di avere gli indirizzi degli imputati per procedere alle notifiche.

Secondo l’accusa non si tratta di un inadempimento che ha impedito agli imputati di venire a conoscenza dell’inchiesta e della successiva fissazione del dibattimento, bensì di una “volontaria sottrazione al giudizio” della magistratura italiana. Gli imputati sono dei “falsi inconsapevoli” del procedimento a loro carico. In realtà ne sono perfettamente a conoscenza, fanno solo finta di non sapere per sfuggire al processo, coperti dalle autorità egiziane.

Come sostiene il neo-procuratore aggiunto di Roma Sergio Colaiocco di fronte alla Corte d’assise, il silenzio dei militari egiziani sotto accusa e del regime all’interno del quale hanno operato non è altro che l’ultimo anello della catena di depistaggi, omissioni e bugie con cui dal Cairo si è tentato di ostacolare il lavoro della procura di Roma.

Colaiocco ha elencato ai giudici tredici episodi, legati uno all’altro, da cui emerge che fin dall’inizio l’Egitto ha cercato di nascondere la verità sul sequestro e la morte di Giulio Regeni: La reiterata e costante negazione che la National security stesse svolgendo indagini su Regeni; la falsa testimonianza su una presunta lite in strada; l’infiltrazione nel gruppo investigativo italo-egiziano di uno dei militari oggi imputati, Uhsam Helmy; la manipolazione dei filmati della metropolitana; l’omicidio della ‘banda criminale’ accusata del sequestro ma in realtà del tutto estranea; il possesso da parte del colonnello Hendy del passaporto di Giulio; la mancata consegna dei tabulati telefonici; la consegna in ritardo di verbali di testimoni incompleti e manipolati; la reiterata ipotesi che Regeni fosse dei servizi segreti; la mancata consegna dei vestiti che Regeni indossava per evitare analisi; l’assenza di condivisione di atti d’indagine dopo l’iscrizione dei colonnelli nel registro degli indagati; la mancata comunicazione del domicilio degli imputati; la diffusione della ‘memoria difensiva’ redatta dalla Procura generale egiziana sottoforma di una ‘relazione conclusiva’ sulle indagini.

Tutti questi fatti verificatisi tra il 2016 e il 2021, secondo il pm Colaiocco, fanno sorgere più che un sospetto sulla possibilità che le molteplici manovre di cui sopra, dapprima finalizzate a fermare o almeno reiterare le indagini e poi a sottrarsi e ad evitare il processo, possano impedire di accettare, nel contraddittorio delle parti, le responsabilità degli imputati in ordine al sequestro, alle torture e all’omicidio di Giulio Regeni”. Un altro caso in cui l’Egitto tenta di bloccare la giustizia italiana sulla morte di un suo cittadino attraverso un ostacolo, ultimo di una lunga fila, che la Procura chiede alla corte di assise di rimuovere. Andando avanti nel processo ai quattro militari, anche in loro assenza.

Riccardo Annibali

Autore