Non solo un calvario lungo oltre un anno ma anche un ricatto dietro il caso di Patrick George Zaki: il rinnovo della detenzione per altri 45 giorni ai danni dello studente egiziano dell’Università di Bologna, incarcerato nell’Istituto di Tora, si intreccia con il processo di Giulio Regeni. Una questione di date: l’arresto dovrà eventualmente essere prorogato poco prima del 29 aprile, quando a Roma è in calendario l’udienza preliminare a carico dei quattro agenti della National Security egiziana accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore friulano, nel gennaio del 2016.

Una coincidenza che non suona così casuale, come scrive Giuliano Foschini per Repubblica: “Ricatto inaccettabile e sussurrato”. Zaki è stato fermato e arrestato al suo rientro in Egitto il 7 febbraio del 2020. Da allora è in carcere. Le sue condizioni fisiche e psichiche sono pessime. L’accusa: propaganda sovversiva per alcuni post su Facebook. Contenuti che la vittima dice di non aver mai prodotto. Per gli avvocati si tratta di profili falsi. Da allora il 29enne è in carcere senza processo. La proroga di ieri lo costringe alle sbarre almeno fino al 15 aprile.

Secondo molti l’arresto dello studente era strumentale a colpire l’Eipr, Iniziativa Egiziana per i Diritti Personali, tra le Ong più attive in difesa dei diritti umani nel Paese governato dal pugno di ferro da Al Sisi. Lo scorso dicembre, tuttavia, tre dirigenti dell’organizzazione – accusati di aver diffuso informazioni false e di complotto – sono stati scarcerati. Secondo Repubblica quindi la vicenda Zaki è diventata “uno strumento di ricatto e di pressione dell’Egitto con l’Europa e l’Italia in particolare. Mentre gli alti dirigenti dell’organizzazione, arrestati nel corso di questi mesi, sono stati rilasciati, il Cairo ha mantenuto il pugno duro con lo studente bolognese”. Questa sorta di ricatto avrebbe messo in apprensione il mondo diplomatico nella capitale egiziana. Foschini dice di fonti diplomatiche che spiegano come “dietro la decisione della giustizia egiziana ci sarebbe il tentativo di legare la vicenda di Zaki con quella del processo Regeni”.

L’udienza preliminare vedrà accusati, dopo cinque anni di indagini della procura di Roma, gli agenti Tariq Sabir, Athar Kamal Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. L’Egitto ha sempre sostenuto che non ci sono elementi per sostenere l’accusa. Dallo scorso 7 febbraio, in occasione dell’anno di detenzione, è stata organizzata una maratona di solidarietà per chiedere la liberazione di Zaki.

“L’Italia deve fare qualcosa, il governo, la Farnesina devono fare qualcosa. Non si può aspettare altri 45 giorni e sperare che le cose cambino”, ha detto Riccardo Noury di Amnesty Italia. La proposta, sollecitata anche al governo Draghi appena insediato, è quello di conferire la cittadinanza italiana a Zaki: un gesto per dare maggior forza alle richieste di scarcerazione. Preoccupano anche le condizioni del padre dello studente iscritto al master di Women’s and Gender Studies di Bologna: l’uomo è ricoverato in ospedale. Durante l’incontro con la madre, come riportato dal gruppo Facebook Patrick Libero, il ragazzo ha chiesto subito “dello stato di salute del padre non appena è entrata nella stanza”. Il ricercatore ha anche raccontato come “nessuno lo informa dell’esito delle sue udienze e sa solo che la sua detenzione è stata rinnovata quando vengono a prendere quelli che sono stati rilasciati senza bussare sulla sua cella”.

Antonio Lamorte

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