Dmitry Peskov aveva provato a minimizzare, a ostentare una (evidentemente falsa) indifferenza. L’elezione di Donald Trump? “Più importante il varo della nuova nave rompighiaccio a propulsione nucleare” aveva detto il portavoce del Cremlino. Certo, il ruolo di una nave che solchi le rotte artiche non è da sottovalutare, visto che il futuro del commercio mondiale potrebbe passare anche dalle acque del Polo Nord sempre meno gelide.

Ma è chiaro a tutti che a Vladimir Putin importi molto di più con ciò che accade negli Stati Uniti. E non è un mistero che tanti a Mosca vedano nel ritorno alla Casa Bianca di The Donald una finestra di opportunità. A sciogliere le riserve è stato lo stesso leader russo, che ha scelto la platea del Valdai Club per lanciare l’assist al nuovo presidente statunitense. Si è congratulato con lui per la vittoria, lo ha definito “coraggioso” per come ha agito dopo l’attentato, e ha inviato un segnale di apertura riguardo le sue idee sull’Ucraina.Ciò che è stato detto sul desiderio di ripristinare le relazioni con la Russia, per aiutare a risolvere la crisi ucraina, mi sembra che meriti almeno attenzione” ha detto Putin. “Se qualcuno vuole riprendere i contatti, non mi dispiace. Sono pronto” ha continuato il presidente russo, che ha rivolto lo stesso appello anche agli altri leader occidentali dicendo che è disponibile a parlare “se loro lo vorranno”.

E se poco prima dell’intervento dello zar Peskov aveva detto che non era esclusa una comunicazione tra i due leader, ora le probabilità salgono vertiginosamente. Trump, in campagna elettorale, aveva annunciato di volere sentire Putin prima di entrare alla Casa Bianca. E ora si attendono le prime mosse del tycoon. L’attenzione c’è. Così come la preoccupazione di Volodymyr Zelensky. Trump e il suo vice, Jd Vance, hanno già fatto capire di non apprezzare la politica di Joe Biden sugli aiuti a Kiev. The Donald ha usato spesso toni anche sprezzanti riguardo il presidente ucraino, al punto che mesi fa lo definì “il miglior piazzista di sempre”. E in Ucraina, quelle parole sono state un campanello d’allarme. Che si uniscono al messaggio spedito ieri da Putin.

Nelle stesse ore, Zelensky, parlando al summit Epc di Budapest, aveva ribadito i suoi punti fermi. “Abbiamo bisogno di armi, non di sostegno nei colloqui. Gli abbracci con Putin non aiuteranno. Alcuni di voi lo abbracciano da 20 anni e le cose non fanno che peggiorare. Pensa solo alla guerra: non cambierà. Solo la pressione può mettergli dei limiti”, ha detto il presidente ucraino nella capitale di quel Viktor Orban che parla con Putin e che è uno dei principali alleati di Trump in Europa. Ma sono in molti a credere che il nuovo presidente repubblicano abbia già deciso un cambio di passo, e sul fronte degli aiuti, se non ci sarà un netto abbandono dell’Ucraina, di certo ci sarò un rimodellamento del supporto. Un po’ spingendo gli alleati europei a fare di più, un po’ delegando alla Nato la gestione di questo sforzo internazionale.

Un processo che è iniziato già prima della vittoria di Trump e che è stato figlio anche dei timori delle cancellerie occidentali. Lo sa bene anche Mark Rutte, da poco segretario generale dell’Alleanza atlantica. L’ex premier olandese è stato uno dei leader più vicini a Trump nel suo primo mandato da presidente, specialmente sul fronte commerciale e finanziario. Ma Rutte, fermo sostenitore di Kiev, ora deve guidare la Nato con un capo della Casa Bianca che appare ben poco vicino alle istanze europee e che non disdegna il dialogo con il Cremlino. Ieri Putin ha ribadito che “il precedente ordine mondiale è finito in maniera irrevocabile” e che “si può presumere che i prossimi 20 anni saranno ancora più difficili”. Secondo Putin “gli appelli dell’Occidente a infliggere una sconfitta strategica alla Russia, che è una potenza nucleare, dimostrano un avventurismo estremo”. E in questo nuovo ordine mondiale disegnato dallo zar, i rapporti tra Mosca e Washington avranno di certo un ruolo essenziale.