Magistrati e servizi segreti hanno messo Matteo Renzi nel mirino? “Se non si è intuito, non mi fanno paura”, dice l’ex premier. Nella conferenza stampa indetta dal leader di Italia Viva, di paura non ce n’è, ma la rabbia è palpabile. Troppi segreti, troppi misteri ruotano intorno allo strano caso di quel Report (Rai 3) con cui, era il 23 dicembre 2020, con una dinamica ancora avvolta in un giallo, venivano impallinati lui e l’ex alto dirigente del Dis, Marco Mancini. I misteri in questi giorni, se possibile, si infittiscono. Ci riferiamo alla doppia smentita a Matteo Renzi per quel che aveva rivelato domenica alle 21 e 30 a “Non è l’Arena”, su La7. Le smentite, la loro successione involontaria, paradossalmente confermano la verità di quel che ha riferito Renzi: si chiama eterogenesi dei fini. Facciamo un passo indietro.

L’ex premier aveva anticipato già domenica scorsa da Giletti quanto contenuto nella seconda edizione de “Il Mostro”. La direttrice del Dis, Elisabetta Belloni – ha raccontato il leader di Italia Viva – ha posto il segreto di Stato sull’Autogrill di Fiano Romano, nel cui parcheggio, il 23 dicembre del 2020, il senatore già presidente del Consiglio si incontrò con Marco Mancini, poi pensionato dalla medesima Belloni. Renzi ha paragonato il segreto di Stato su Ustica e quello su Fiano Romano. Per capirci: uno che è stato presidente del Consiglio e senatore della Repubblica non può essere filmato segretamente e poi ritrovarsi su Rai Tre a Report e messo in croce per aver incontrato un dirigente dello Stato.

Nel libro, uscito ieri, Renzi scrive: “La direttrice dei Servizi segreti, Elisabetta Belloni – che non ho voluto alla presidenza della Repubblica – ha deciso nella primavera del 2022, quattro mesi dopo le vicende del Quirinale, di opporre il segreto di Stato durante l’interrogatorio come testimone all’interno di indagini difensive, cui è stata sottoposta a seguito della strana vicenda Report-Autogrill. Vengo a conoscenza dell’opposizione del segreto di Stato in modo rocambolesco e casuale il giorno 25 giugno 2022. Rimango senza parole. Alla luce di questa decisione – a mio avviso enorme – la verità sulle vicende connesse agli eventi dell’Autogrill sarà pubblica solo nel 2037. Ma cosa diamine ci sarà di così importante nei rapporti legati alla vicenda Autogrill da mettere il segreto di Stato fino al 2037?”.

E siamo a lunedì. Ranucci, il conduttore di Report, alle 11,01 del mattino sul suo profilo Facebook: “Non è stato posto alcun segreto di Stato sulla vicenda Autogrill… Semmai è stato Mancini a chiedere di indagare per presunta violazione del segreto di Stato”. Aggiunge: “Quello posto dalla dottoressa Belloni è il segreto sulle risposte alle domande poste da Mancini in merito alle dinamiche interne ai servizi di sicurezza”. Passano tre ore. Alle 14,25 esce la prima agenzia che riferisce la dichiarazione di Mantovano, Autorità delegata sui Servizi di informazione e sicurezza, apparsa sul sito di Palazzo Chigi. “Piena fiducia” alla Belloni la cui “opposizione del segreto di Stato è stata confermata dal Presidente del Consiglio nel giugno 2022”. Essa è avvenuta “nel corso di indagini dell’autorità giudiziaria in relazione alla sola esigenza di tutelare la funzionalità dei Servizi, e per scongiurare il rischio di violarne la necessaria riservatezza”. Insomma: hanno deciso insieme Belloni e Draghi. In coppia. Curiosamente il sottosegretario coinvolge Draghi ma sta attento a non sfiorare il suo predecessore Franco Gabrielli, il quale secondo prassi aveva presentato al presidente del Copasir, come prescrive la legge, adeguata comunicazione del segreto opposto dal Dis. Quel presidente era Adolfo Urso oggi ministro, al quale Gabrielli il 5 settembre, in piena campagna elettorale, si era così riferito: “Con il presidente Urso ormai siamo sullo stato di famiglia l’uno dell’altro” (Fanpage, 6 settembre).

Si noti: il segreto di Stato – dicono entrambi, Ranucci e Mantovano, uno dei quali non risulta ancora ufficialmente portavoce dei servizi – si riferisce al fatto che le domande vertevano “solo” sugli “interna corporis” dei servizi, per ovvie ragioni non divulgabili. Da noi interpellato l’avvocato Luigi Panella, che con Paolo De Miranda difende Marco Mancini, commenta: “Chi ha detto a Ranucci che le nostre domande, peraltro tutte vagliate dall’autorità giudiziaria, vertevano sul funzionamento (la dinamica interna) dei servizi? Io non posso confermare se Ranucci dica o no il vero, in quanto questi atti sono stati segretati dal procuratore. Ma sollevo due questioni. La prima: da chi, quando e a che titolo Ranucci ha ricevuto queste notizie profetiche di quanto avrebbe dichiarato l’Autorità delegata? La seconda: davvero il giurista e giudice Mantovano può credere che io sia così sprovveduto da porre domande irricevibili? Di sicuro posso dire che il segreto di Stato ha bloccato le indagini”. La tempistica dei messaggi di Ranucci e Mantovano ha insospettito anche Renzi.Siamo davanti a una palese violazione del segreto istruttorio, quando il conduttore Rai prova a dettagliare lo stato dell’arte delle indagini, le richieste di Marco Mancini e dei suo difensori commette il reato di violazione del segreto istruttorio”.

Quante cose sa, Sigfrido Ranucci. Le sa persino prima che siano agli atti. “Siamo in diretta dal Senato, c’è qualche Procuratore della Repubblica in ascolto?”, chiede ironicamente Renzi. “Per violazione del segreto istruttorio si deve procedere d’ufficio, ma se nessuno in Procura ci segue, vuol dire che andrò io a depositare un esposto. Chiederò ai magistrati di aprire un fascicolo su Ranucci”, conclude Renzi. I misteri, in questa storia, sono tanti. E’ stato un continuo guadagnare giorni. Dapprima la direttrice Belloni fu convocata presso l’ufficio romano degli avvocati. Non si presentò. E non presentò alcuna giustificazione. Quindi, richiesta dai magistrati di presentarsi nella loro sede, chiese il rinvio. La terza volta domandò di essere escussa presso la sede del Dis (di solito simile privilegio è riservato al premier in carica). Rifiuto del Procuratore. Infine la massima autorità dei servizi dovette recarsi, senza se e senza ma, in una caserma. Per due volte. “Esce il mio libro e arrivano puntuali gli attacchi dell’Anm. Dicono che io sono responsabile di ‘una pericolosa delegittimazione dell’operato della magistratura’. La magistratura viene delegittimata quando i magistrati che sbagliano non pagano mai. Se cercate chi delegittima la magistratura, signori dell’Anm, guardate in casa vostra. E magari per una volta evitate di attaccarmi. Perché, come forse si è vagamente intuito, non mi fate paura”, ha concluso Matteo Renzi.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.