Più procediamo e più constatiamo. La chiave di tutto sta in ciò che circonda e nasconde il caso Abu Omar, anzi: il segreto di Stato che lo riguarda. Tutto concorre a evidenziare che apparati regolari o paralleli si sono stufati di veder circolare “una bomba a orologeria” (copyright di Carlo Bonini). Niente di meglio che sotterrarla, per disinnescarla. E ogni volta si proietta l’ombra di Abu Omar, l’imam prelevato dalla Cia a Milano il 17 febbraio del 2003. Dalla Cia e non solo. Qualcun altro ha collaborato. Chi? Le certezze propalate dalla sentenza di condanna dalla Corte d’Appello di Milano del 12 febbraio 2013 puntarono il dito contro il capo del controspionaggio del Sismi, Marco Mancini (9 anni di carcere) e il suo direttore Nicolò Pollari (10 anni).

Non importa che quella sentenza sia stata annullata, privata della stessa qualità di essere esistita, dalla Corte costituzionale il 14 gennaio 2014. Conta di più la forza mediatica della Procura di Milano contornata di informatori che spiano le mosse dei colleghi? Nei fatti, la colpevolezza di Mancini e Pollari viene lasciata circolare senza intervenire e si trasforma in luogo comune. Rubando un titolo a Gesualdo Bufalino potremmo chiamarla “La diceria sull’Untore”. Del resto, Fabio Amendolara, su La Verità, lo definisce proprio così il 15 maggio 2021, anticipando il defenestramento. Scrive Amendolara: “Il caporeparto del Dis è l’untore che infetta tutti quelli che lo incrociano. A renderlo tale è il suo coinvolgimento nel rapimento dell’imam Abu Omar”. Ancora e sempre, Abu Omar. Occorre liquidare l’Untore.

L’esecuzione della sentenza ad annunciarla con dovizia di particolari è il ben informato Carlo Bonini su Repubblica del 3 giugno: “Con una decisione comunicata all’interessato alla vigilia del 2 giugno, al sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale Franco Gabrielli e alla nuova direttrice del Dis Elisabetta Belloni, sono stati infatti sufficienti appena venti giorni per liberarsi della spia che aveva tenuto in costante fibrillazione e apprensione, per 15 anni (è del luglio del 2006 il suo arresto nella vicenda Abu Omar), il nostro sistema di Intelligence e otto diversi governi”. Assai rivelatrice, questa motivazione. Notato il nome posto come capo d’accusa? Abu Omar, ovvio. Dagospia sorpassa in curva Bonini e il 4 giugno fa il nome del “boia”, il tagliatore di teste. Si tratta di Bruno Valensise. A lui, secondo Dago “un Mancini impazzito ne ha urlate di tutti i colori”. Il famoso filmato all’Autogrill di Report è solo un pretesto, è il casus belli. C’è ben altro: a confermarlo è lo stesso Gabrielli con le dichiarazioni consegnate lo scorso 21 marzo alla storia tramite Giovanni Minoli a Il Mix delle 5, Radio Rai. Autogrill? Vale per gli ingenui. Dice Gabrielli testualmente: “(Mancini) non è stato invitato (ad andarsene) con riferimento a quella vicenda. Ma per tutta una serie di altre questioni che non è il caso di approfondire”.

A cosa allude? Al fatto che lassù sono stufi di avere tra i piedi la “bomba a orologeria”, uno che sporca di unto chi lo incrocia, essendo uno che bisogna far saper che “l’ha fatta franca”, secondo il lessico della procura di Milano? Conviene che si continui a pensar così. Ci sono carte e dichiarazioni che spingono a pensare che sono altri ad averla fatta franca. Ma per questo dovrete aspettare un po’. Peccato che non si stia parlando del giallo dell’estate, da leggere sotto l’ombrellone. Il pericolo per la vita di un servitore dello Stato non solo è perdurante ma è più che mai diretto e attuale: 1) la trasmissione sulla tv del servizio pubblico coram populo et repetita juvant del volto dello 007 pensionato nel luglio scorso, ma la cui testa resta un archivio vivente del nostro controspionaggio di cui è stato la punta di lancia per tutto l’Occidente, in riferimento soprattutto a Russia e Cina; 2) Il riconoscimento facciale (Report del 3 maggio 2021) dell’uomo “losco” che in Autogrill a Fiano Romano incontra Matteo Renzi il 23 dicembre 2020 è operato da un uomo mascherato e con voce contraffatta qualificato come ex agente del Sismi.

Frequentazione troppo antica per essere autentica. Ci siamo chiesti perché Report non scrive ex agente dell’Aise. Dice “Ex Sismi”. Lo dice la logica: il volto di Mancini nel filmato trasmesso è assolutamente diverso da quello che appariva nell’unica foto diffusa nel 2005 al tempo del Sismi. Deve seguire uno storytelling, chi lo indica. Ma deve anche averlo frequentato fino a poco fa, ed è perfettamente consapevole di consegnare il corpo dell’agente segreto più esposto dell’intero Occidente. E che nome pronuncia, che fatto evoca, nella circostanza il nostro Anonimo 007 esperto in riconoscimenti facciali? Abu Omar. Abu Omar. Abu Omar.

Così funziona la character assassination. Si deve ripetere un mantra finché quello non entra nella testa di tutti. A forza di ripetere una stessa bugia, quella diventa vera, predicava Goebbels. Un motivo in più per decidersi a togliere, adesso e per sempre, il segreto di Stato da quel caso. Saltato quel sigillo, salterebbe il marchio di infamia che qualcuno vuole incollare a Mancini. E si chiarirebbero molte cose. Quel segreto di Stato è un tappo che sigilla veleni e che qualcuno vuole, e forse deve, tenere invece ben chiuso. Fino a quando?

(2- fine. la prima puntata l’abbiamo pubblicata giovedì)

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.