Prima che sia troppo tardi va raccontata la storia di un morto che cammina. Sperando che grazie alle notizie – verificate una per una – che qui daremo, possa ancora camminare a lungo. A esporlo a una fine violenta è proprio lo Stato che ha servito e gli organi di sicurezza di cui è stato l’asso, come tutti – amici e nemici – oggi gli riconoscono. Stiamo parlando di Marco Mancini, pilastro dei servizi segreti italiani da sempre attivo per prevenire e sminare con il massimo anticipo le minacce alla sicurezza. È il metodo Mancini. O meglio era: perché Franco Gabrielli ha pensato bene, nel pieno vigore dei 60 anni, di avviarlo alla pensione.

Ufficialmente per la sovraesposizione dovuta al famoso caso dell’Autogrill. O almeno, così diceva la lettera firmata da Elisabetta Belloni, direttrice del Dis. O forse, per tornare a Gabrielli, “per tutta una serie di altre questioni” (dichiarazione al Mix delle 5, Rai Radio 1, da Giovanni Minoli, 21 marzo 2022). Quali? Di certo la mossa forse astuta e tranquillizzante per certi settori decrepiti e parassitari dell’intelligence, in realtà è pericolosa per Mancini e famiglia, ma anche per l’Italia. Tutto lascia credere che giovi piuttosto agli interessi russi. Mancini viene dalla scuola del generale Dalla Chiesa, da cui impara a catturare terroristi. Tra le tante operazioni di quegli anni Ottanta, fu lui a bloccare Sergio Segio detto Sirio in viale Monza a Milano, riconoscendolo per caso, e senza sparare un colpo, nonostante Segio girasse con la scorta. Passa da carabiniere ad agente Sismi (il servizio segreto militare, quello con l’occhio sul mondo intero: oggi Aise) e dà il meglio come capo del controspionaggio.

È coinvolto nel caso Abu Omar e nell’affaire Telecom: subisce quasi un anno di carcerazione preventiva. Entrambi buchi nell’acqua della Procura di Milano: si concludono con il proscioglimento per caso del sequestro dell’Imam e con l’assoluzione da parte del Gup di Milano sul caso Telecom. Poi va all’Aise, per quattro anni capo centro a Vienna, punto strategico verso l’Est. Nell’agosto del 2014 torna nella Capitale. La faccenda è segreta, ma una fuga di notizie interna ai servizi la dà al Fatto Quotidiano. Passa al Dis, con mansioni di scrivania, seppur importantissime: tenere la cassa, controllare le spese, e magari prevenire l’utilizzo improprio dei fondi riservati. Risparmia milioni, la Corte dei Conti gli rivolge un elogio. Ma un ex operativo, dietro alla scrivania, soffre sempre un po’. E soprattutto, non riesce a portare a termine il lavoro intrapreso sulla rete di spie, in particolare russe, che infestano l’Italia. Il metodo della crisis prevention avrebbe suggerito, ripetono nell’ambiente, che ad esempio Walter Biot andava pedinato più a lungo ai fini di ricostruirne la rete, anziché arrestarlo alla prima occasione e liquidare tutta la pratica in fretta e furia.

Secondo testimonianze mai smentite, prima alla fine del 2020 (10 novembre, titolo del Fatto: “Servizi segreti, il ritorno di Mancini: in ballo la nomina a vice degli 007”) poi sul finire dello scorso anno (su Repubblica, da Claudio Tito) è accreditato per la direzione dell’Aise o la vicedirezione del Dis. Di certo lo convocano per annunciarglielo Luigi Di Maio alla Farnesina e Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Finché il 23 dicembre, quando viene filmato durante un incontro con Matteo Renzi fuori dall’Autogrill di Fiano Romano, cambia tutto. Prima si fa montare il mistero. “Un video anonimo..”, dirà sulle prime Sigfrido Ranucci. Poi Report il 12 aprile trasmette il filmato. Non solo. Ranucci riesce anche a dare un nome a quel volto: è di Marco Mancini. Altro che promozione per lui: è la fine. Per dare un nome al suo volto, Report va a colpo sicuro da un uomo dei servizi segreti, presunto ex-Sismi, opportunamente mascherato, per effettuare il riconoscimento.

Anche se, a ben riflettere, il Sismi non c’è più dal 2007. In pensione da 14 anni? E da 14 anni non ha visto in viso Mancini, a meno che fosse dell’Aise. Perché vanno da lui a colpo sicuro? Magari invece era un magistrato, un architetto, un farmacista. Invece guarda un po’ chiedono a un ex 007. Che essendo tale, sa che Mancini ha la scorta da anni e non a caso. E qui siamo al risvolto indecente della storia. Il volto odierno di Marco Mancini ormai è a disposizione di qualunque Paese che abbia visto il lavoro di Mancini portare risultati utili all’Italia e negativi, con il dissolvimento di un nido di spie, a Paesi a noi ostili. Questo, usando un linguaggio antico, è comportarsi da felloni. Invece cosa fanno le agenzie con la supervisione di Gabrielli? Mettono sotto accusa Mancini e non indagano sulla spia mascherata. Non è che ha qualche interesse diverso nel “bruciare” lo 007? Talvolta si è spinti a pensare male, quando in ballo ci sono i russi, poi…

Ricordiamolo: Gabrielli fa nominare l’ambasciatrice Elisabetta Belloni a capo del Dis. E decide la defenestrazione di Vecchione e la cacciata di Marco Mancini. Non solo. Gli toglie la scorta, di più: priva la sua abitazione (e questa non è una decisione di Gabrielli ma del Ministero dell’Interno) della “vigilanza dinamica” intorno alla abitazione della famiglia Mancini, peraltro già traslocata in altro luogo per mettersi in salvo. Leggiamo Repubblica del 13 maggio. “Il redde rationem nei Servizi è solo all’inizio. E del prefetto Gennaro Vecchione, direttore del Dipartimento per le informazioni e la sicurezza fino alle 19 di mercoledì, e del suo dirigente ancora in servizio, Marco Mancini – per il quale il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Franco Gabrielli ha disposto l’interruzione del servizio di scorta di cui godeva e di cui nessuno è stato in grado di giustificare le ragioni – sentiremo probabilmente parlare ancora per un po’. La faccenda (dell’Autogrill, ndr) li ha travolti”. Gabrielli davvero non sapeva le ragioni della scorta? Se sì, lo lascia in balia di qualche commando. Se non lo sapeva, peggio ancora.

Ci mettono in mano due fogli. La fonte è un parlamentare del Copasir, che viola il segreto di Pulcinella che lì dovrebbe vigere, e in realtà serve solo a nascondere quello che si dovrebbe fare e non si fa, per pigrizia, quieto vivere, commercio di dare-avere con questa o quella cordata dei servizi segreti. Tutto è depositato presso il Copasir, e tutto è ed era a disposizione di Gabrielli e della Belloni. Prima però una busta. C’è il francobollo con Papa Luciani. Il nome e l’indirizzo privato, in Emilia-Romagna, del destinatario. Contenuto: una lettera che riproduciamo in questa pagina. Il sistema per non farsi identificare è quello antico dei rapitori sardi: il normografo. Dice il foglio, che segue a messaggi sul telefonino irrintracciabili, tutto in minuscolo: “Continui a non capire un cazzo, sei un cadavere che cammina!!! Tu e Pollari siete dei bastardi sequestratori… come siete ridicoli insieme. Per te abbiamo già una bara vuota e pronta che ti aspetta qui a Roma. Tua moglie e tua figlia troveranno un cadavere con una fucilata in testa….. sei un porco sequestratore morto. Non sei degno di stare a questo mondo. Rimani a Vienna…….. ti conviene!!!”. Siamo a inizio del 2014.

La Corte Costituzionale sta per pronunciarsi e decidere che il sistema giudiziario non ha titolo per sottoporre a processo Marco Mancini, Nicolò Pollari e altri agenti del Sismi: proscioglimento per decisione della Corte sovrana, che sta sopra la Cassazione e vigila sulle fondamenta della Repubblica. Nessuno, salvo gli ambienti più interni all’Aise, sa di quel che sta maturando riguardo al trasferimento. Mancini non retrocede, non si fa intimidire, denuncia il tutto al suo superiore, il direttore Paolo Scarpis, che riferisce di queste minacce alla polizia giudiziaria. Ecco allora una nuova lettera. Evoluzione. Stesso normografo ma tutto in maiuscolo e nessuna punteggiatura: “BASTARDO E SPORCO SEQUESTRATORE TI AVEVAMO DETTO DI RIMANERE A VIENNA, QUANDO TORNI IN ITALIA TI FACCIAMO SECCO!!!!”.

Interrogato a novembre dai magistrati della Procura di Ravenna, interessati al caso per competenza territoriale, secondo le carte in possesso del Copasir, l’alto funzionario dell’Aise, ammette di “non aver fatto svolgere accertamenti”. E riconosce nel contempo “che vi erano ostilità nei confronti del dottor Mancini da parte di altri soggetti appartenenti all’Aise”. Domanda del magistrato: “Quindi è a conoscenza di situazioni di astio nei confronti del Dott. Mancini?”. Risposta: “ Ne sono a conoscenza. Metà Aise lo adorava e metà lo odiava”. Ormai Mancini è a Roma. Non lo uccidono, e meno male. Sarà per la scorta. O forse l’odio è sparito? Ma no. Basta accontentarsi. Quelli – dice la logica – in realtà non volevano che Mancini tornasse operativo all’Aise. Assecondando il filo sottile della minaccia, l’autorità per la sicurezza, cioè Marco Minniti, lo manda sì a Roma, ma promuovendolo al Dis. Ruolo importante, ma fuori dai piedi. Le due lettere, riconosce alla fine con onestà Paolo Scarpis, direttore dell’Aise, arrivano da lì “Queste due lettere (quelle trascritte sopra, ndr) mi confermano l’opinione che provengano dall’interno dell’Agenzia, in quanto minacciano in base al ritorno a Roma, cosa che non avrebbe senso facesse un terrorista”.

Ed ecco, come riferito più sopra, torna d’attualità la promozione di Mancini ai vertici dell’Aise. Si rimette in moto la macchina dell’odio? Plausibile. E qualcuno, con quel video dell’Autogrill, si presta a quel gioco. Va fatto fuori. Magari prima mostrando il filmato del “tradimento” di Mancini che corrompe Renzi con una confezione di Babbi (c’è la ricevuta al Copasir) a Conte e Di Maio. Magari tramite il loro fedelissimo Vecchione. Il quale mostra di saper tutto. Pochi giorni prima della messa in onda – è sempre il parlamentare del Copasir a riferire – Mancini riceve sul suo telefonino assolutamente privato un messaggio di Giorgio Mottola di Report che gli chiede un colloquio in vista del programma che uscirà il lunedì successivo e che lo riguarderà. Mancini ne informa Vecchione. Il quale incredibilmente dice di stare tranquillo, di pensare alla famiglia. Poi manda un messaggio scritto: “Ecco passerà anche questo, ma bisogna riflettere sulla situazione”. Scivolata.

Qualcuno dubita a questo punto che quel servizio lo avesse già visionato? Il parlamentare del Copasir non ha dubbi. E vorrebbe riaprire le porte del Copasir a Mancini, Renzi e alle loro scorte, stranamente non interrogate da nessuno. Sentire le scorte di Mancini e di Renzi in audizione al Copasir. L’ipotesi del nostro interlocutore: gli stessi che hanno minacciato Mancini di sparargli in testa, e che poi si sono chetati, vedendolo risorgere lo hanno fatto fuori. Gabrielli ha abboccato. Lo pensiona di forza, e qualcuno aggiunge uno svolazzo sotto alla firma: via la scorta. Mancini era un pericolo per la Russia e per qualcuno all’Aise, magari al servizio di qualche potenza non propriamente amica. Perché lo Stato lo ha abbandonato? Forse sentirlo al Copasir, come modestamente avevamo suggerito, oggi sarebbe opportuno.

 

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.