Prese di distanze, negazioni, fake news su quell’ombra che non ha mai smesso di allungarsi sulla vita, la giovanissima vita di Joseph Ratzinger, il 265esimo Pontefice e Papa emerito dal 2013 che è morto oggi a 95 anni, nel monastero Mater Ecclesiae nel cuore dei Giardini Vaticani. Era l’ultimo teologo del Novecento per molti, ultimo rappresentante di quel cattolicesimo europeo emerso dalle macerie delle guerre e dei totalitarismi che pure avevano segnato la sua vita. E la sua reputazione: con il tono del complotto, della cospirazione, perché Benedetto era spesso stato accostato – anche in termini pretestuosi – ad Adolf Hitler e alla sua Gioventù, la Hitler-Jugend, la HJ.

Il papa emerito era cresciuto nella Germania degli anni Trenta, figlio di una famiglia modesta, padre commissario di gendarmeria e madre cuoca in alberghi della Baviera. Joseph Ratzinger conobbe gli orrori della guerra e del nazismo. A dodici anni entrò in seminario e vi rimase fino al 1942, nel 1941 fu iscritto alla Gioventù hitleriana, come prevedeva la legge Gesetz über die Hitlerjugend (Legge sulla gioventù hitleriana), emendata il 6 marzo 1939 e in vigore dal 25 marzo 1939 fino al 1945. L’arruolamento obbligatorio valeva per tutti i giovani d’età compresa tra i quattordici e i diciotto anni.

Contro il suo volere, anche dopo la chiusura del seminario per uso militare, per non ricevere sanzioni pecuniarie sulle tasse scolastiche del Gymnasium di Traunstein, dove tornò, avrebbe dovuto presenziare alle riunioni dell’HJ. “Grazie a Dio a scuola c’era un insegnante di matematica molto comprensivo. Era personalmente nazista, ma una persona onesta. Un giorno mi disse: ‘Vacci almeno una volta, così saremo a posto’. Quando però si accorse che io non volevo, mi disse: ‘Ti capisco, sistemerò io la faccenda’”, racconto lo stesso Ratzinger nel suo libro Sale della terra. Quel professore gli permise di non ricevere sanzioni pur non presenziando alle riunioni della Gioventù. La vocazione al sacerdozio fu la scelta radicale che lo lasciò freddo ai richiami del Terzo Reich. Suo modello fu il vescovo August von Galen, il cosiddetto Leone di Münster che si scagliò contro Hitler.

La stessa famiglia del Pontefice non era stata sedotta alle sirene del Nazionalsocialismo tedesco: Joseph Ratzinger Sr si costrinse con la famiglia a diversi traslochi pur di resistere alle camicie brune, era molto cattolico e anti-nazista, come ha ricostruito The Times. Quando da molto vicino la famiglia conobbe il programma di eutanasia dei portatori di handicap quella repellenza aumentò: “Ratzinger aveva un cugino affetto dalla sindrome di Down, che nel 1941 aveva 14 anni. Questo cugino era solo pochi mesi più giovane di Ratzinger e fu portato via dalle autorità naziste per una ‘terapia’. Non molto tempo dopo la famiglia ricevette la notizia che era morto, presumibilmente fu ritenuto uno degli ‘indesiderabili’ di quel periodo e fu eliminato”, ha scritto il biografo del Pontefice John Allen.

A sedici anni – e quindi dopo quel periodo sempre rinfacciato – Joseph Ratzinger venne reclutato con il fratello Georg nel programma paramilitare Luftwaffenhelfer, ovvero il personale di supporto alla Luftwaffe a Monaco. Successivamente fu arruolato nell’esercito e assegnato alla caserma di fanteria di Traunstein. Non andò mai al fronte e non sparò nemmeno un proiettile. Quando la disfatta della Germania divenne ufficiale e inevitabile, nell’aprile del 1945, disertò durante una delle marce che l’esercito continuava a organizzare per sollevare il morale della popolazione. Il futuro Papa fu recluso come prigioniero di guerra vicino Ulma dagli statunitensi.

Fu rilasciato il 19 giugno come il fratello Georg, che era stato prigionieri in Italia, e la famiglia Ratzinger si riunì a Traunstein. L’anno dopo, nel 1946, si iscrisse all’Istituto superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga, in Baviera. “Il papa non è mi stato nella Hitler Jugend che era un corpo di volontari fanatici nazisti. Non ne ha mai fatto parte, mai e poi mai”, sosteneva e ribadiva nel 2009 il portavoce del Vaticano Lombardi, come si vede in un video dell’epoca pubblicato da Repubblica.it.

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