L'addio a 95 anni
È morto Joseph Ratzinger, eletto Papa Benedetto XVI nel 2005 si dimise nel 2013
Joseph Ratzinger cioè Benedetto XVI, muore a 95 anni ed ha attraversato tutto il cammino di un secolo di vita della Chiesa, ha vissuto direttamente il Concilio Vaticano II da giovane consulente teologo dell’arcivescovo di Colonia, ed ha vissuto le turbolenze del dopo-Concilio, con il distacco dal gruppo dei teologi fondatori della nota rivista “Concilium” (tra cui Hans Kung, escluso dall’insegnamento della teologia nel 1979), lo spostamento verso una visione più istituzionale dal 1977 quando, a 50 anni, Paolo VI lo nominò arcivescovo di Monaco e poi cardinale.
Aveva un rapporto di grande fiducia con Giovanni Paolo II (tra l’altro aveva partecipato ai due Conclavi del 1978) e nel 1981 proprio Wojtyla lo volle come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. In quel ruolo è stato protagonista dei principali documenti teologici di Giovanni Paolo II: le encicliche “Fides et Radio”, “Veritatis Splendor”, “Evangelium Vitae”, la Dichiarazione “Dominus Iesus” del 2000. E hanno fatto epoca i provvedimenti contro teologi e tendenze teologiche come ad esempio i due documenti del 1984 e del 1986 sulla teologia della liberazione – il primo di netta critica, il secondo con qualche prudente apertura. E anche i provvedimenti canonici per segnalare i teologi con posizioni non ortodosse in campo di morale e morale matrimoniale: Charles Curran, Edward Schillebeeckx (si conoscevano bene), Leonardo Boff, Tissa Balasuriya e diversi altri.
Di quel periodo e di quei provvedimenti, una volta diventato Papa, Joseph Ratzinger non ha mai parlato. Però è indubbio che il vero atto di governo da lui attuato non è tanto nel promuovere una maggiore trasparenza amministrativa e l’attivazione di un maggiore impegno contro gli abusi commessi da esponenti del clero (misure proseguite con decisione da Papa Francesco), quanto la dichiarazione dell’11 febbraio 2013. Cioè le dimissioni. Per diverso tempo, dopo l’elezione del successore, quando è apparsa chiara la linea “francescana” del pontefice, gli oppositori del nuovo papa si sono arrovellati sull’idea complottista che le dimissioni non fossero valide perché espresse in maniera non libera. Idea a dispetto dell’evidenza, come appare chiaro a rileggere quel testo dell’11 febbraio, già passato nella storia della Chiesa.
Davanti ai cardinali, Benedetto XVI diceva: ‘‘Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20.00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice’’.
Così, ad 86 anni di età, terminava il 265esimo pontificato. Le dimissioni hanno aperto una fase inedita: prima di tutto la decisione di ritirarsi ad abitare in Vaticano, con un Joseph Ratzinger ferreo e determinato nel mantenere il silenzio e non intervenire sugli atti di governo di Papa Francesco e sui suoi documenti, sebbene alcuni settori conservatori abbiano cercato di mettere l’uno contro l’altro. A nove anni dalla rinuncia, resta irrisolta la questione teologica, canonistica e pratica di cosa significhi avere un papa dimissionario (fin dal come chiamarlo: papa emerito, vescovo di Roma emerito?) in una Chiesa governata da un papa regnante.
Dal punto di vista teologico, cosa resta di Benedetto XVI? La risposta è complessa. Certamente il contributo da lui offerto al Concilio Vaticano II è stato molto studiato ed approfondito. I suoi libri sono sapienti esposizioni del pensiero cristiano, e vanno citati tre opere per tutte: “Rapporto sulla fede”, libro intervista con Vittorio Messori del 1984 in cui denunciava le rotte sbagliate del dopo-Concilio; e “Introduzione al Cristianesimo”, del 1969, tratto dalle lezioni agli studenti di teologia e molte volte ristampato. La terza è il “Gesù di Nazareth”, scritto da papa, e pregnante sintesi teologica di cosa sia l’incarnazione di Gesù nella storia umana. In questa brevissima rassegna non può mancare, come una vera pietra-miliare, il discorso del 2006 all’Università di Ratisbona, dove tornò da papa dopo aver insegnato come teologo decenni addietro.
Quel discorso venne interpretato come una critica all’Islam ed ha provocato polemiche infinite. E invece il significato è tutt’altro. Benedetto XVI proseguiva, da papa, quello che aveva iniziato come Prefetto della Dottrina della Fede: spendersi – teologicamente parlando – per una razionalità capace di coniugare teologia, filosofia e scienza, come terreno di incontro tra credenti e non credenti, per superare ogni steccato ideologico. La fede deve aprirsi all’ampiezza della ragione, la ragione all’ampiezza della fede. Come si vede, non un discorso contro l’Islam – frutto di un’affrettata e maliziosa sintesi giornalistica – ma un affresco di ampio respiro per invitare l’Occidente post-illuminista a riflettere su se stesso e sulle sue radici cristiane.
Nella ricerca del dialogo è stato un papa moderno, autenticamente postconciliare e Papa Francesco ne prosegue la linea, sebbene troppo spesso i detrattori di quest’ultimo non rintracciano la linea di continuità, perdendosi dietro la ricerca di un regime di cristianità che non esiste più da secoli. Certamente a suo agio nei temi culturali e teologici, molto meno nelle concrete e complesse questioni di governo (si ricordi la fuoriuscita di documenti dall’appartamento papale da parte del “Corvo”, il maggiordomo che riforniva un giornalista), ma comunque sempre lucido, anche quando – da Prefetto – cercava di segnalare deviazioni teologiche ed errori. “È come una candela che si consuma lentamente”, disse qualche tempo fa il suo segretario e collaboratore, l’arcivescovo George Ganswein. Adesso che si è consumata del tutto, resta un’eredità culturale, religiosa e spirituale che – si spera – sarà libera da eccessi di letture.
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