La saga continua
Re Gratteri I di Calabria: arresta tutti in una nuova inchiesta show
Nicola Gratteri si conferma ancora il vero dominus della terra di Calabria. Nell’ennesima conferenza stampa annuncia di aver messo le mani su una cosca “di serie A”. Pure, i 19 arresti di ieri ( 11 in carcere, 8 ai domiciliari) non avrebbero meritato una riga in più delle canoniche “venti in cronaca”, se l’astuto procuratore di Catanzaro non avesse valorizzato il blitz Farmabusiness con l’offerta della ciliegina sulla torta: l’arresto di Domenico Tallini, presidente del Consiglio regionale calabrese. Un politico potente, si dice, anche se pare un isolato che siede al gruppo misto e nelle liste di Forza Italia è stato solo ospitato.
Ma in realtà è uomo dell’area di centro, proveniente dall’Udeur e legato al partito popolare europeo, un mondo che ha un certo peso in Calabria, sia nel centrodestra che a sinistra. Uno di cui si parla bene in Forza Italia e malissimo nel mondo dei Cinque Stelle e in particolare del presidente della commissione bicamerale Nicola Morra che, alla vigilia delle elezioni del gennaio scorso, lo aveva qualificato come “impresentabile”, Questione di pelle, prima ancora che politica. Tallini è agli arresti domiciliari e ci si domanda come mai, una volta pescato il pesce grosso, la Dda non lo abbia spedito in carcere. Il primo motivo è che probabilmente qualcuno tra i vertici delle procure italiane ha raccolto l’invito del procuratore generale della cassazione Giovanni Salvi ad arrestare il minimo indispensabile, vista la consistente diffusione del Covid-19 negli istituti di pena, sia tra i detenuti che tra gli agenti di polizia penitenziaria.
L’altra ragione comporta una certa malizia. Nei confronti di Mimmo Tallini non ci sono fatti concreti, ma indagini solo per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Perché diciamo “solo”? Perché anche i sassi sanno che il concorso esterno non è un reato previsto dal codice penale ma una costruzione in vitro della giurisprudenza, poco dimostrabile e in genere destinato alla caducità. Altrettanto complicato è portare a processo un esponente politico per la violazione dell’articolo 416 ter senza qualcosa di concreto quale lo scambio, per esempio di una mazzetta di denaro con un atto, altrettanto concreto, da parte del pubblico amministratore, volto a favorire un’attività illecita. Molto difficile è poi dimostrare chi e come ha votato alle elezioni per un certo candidato e in cambio di che cosa. Come posso dimenticare il fatto che due parlamentari di Forza Italia (di cui non ricordo i nomi) furono indagati per otto mesi proprio in Calabria perché “promettevano riforme in cambio di voti”?
Il caso di Mimmo Tallini nasce (e muore, a quanto pare) nel 2014. E’ il 7 giugno, siamo nella tavernetta della casa di Nicolino Grande Arachi a Cutro, nel crotonese. Cutro è una cittadina di diecimila abitanti, è detta “città degli scacchi” da quando nel 1575 il re Filippo di Spagna le diede il titolo dopo che un suo cittadino era diventato il numero uno e campione di scacchi in Europa e nel mondo. Storicamente governata dalla sinistra fin dai tempi del Pci, con qualche incursione del Psi, è attualmente nelle mani di un commissario (almeno lì l’hanno trovato…), dopo lo scioglimento del consiglio nel luglio scorso in seguito alle dimissioni del sindaco Salvatore Divuono, a lunghi conflitti istituzionali e anche a qualche sospetto di infiltrazioni mafiose.
La riunione nella tavernetta di Grande Arachi era predestinata a cattiva sorte, ogni centimetro quadrato era cosparso di microspie installate dai carabinieri. Nelle intercettazioni si progetta la nascita di un consorzio finalizzato alla distribuzione in farmacie e parafarmacie di prodotti da banco, cioè farmaci per cui non necessita la ricetta medica. Viene sottolineato che tutto deve avvenire il più possibile all’interno della legalità. Uno dei partecipanti viene sentito dire “dobbiamo fare una cosa il più pulita possibile”, con il coinvolgimento di professionisti al di sopra di ogni sospetto. Ma mancano ancora le autorizzazioni amministrative per l’avvio dell’impresa commerciale.
E’ a quel punto che uno dei partecipanti, Leonardo Villirillo, nomina “l’assessore”. Secondo i carabinieri che intercettano, si tratta di Domenico Tallini, che è assessore al personale della Regione Calabria e che si sarebbe occupato di seguire l’iter burocratico della pratica. E comincia la consueta catena di S. Antonio. Se sono sicuri i carabinieri, ne sono certi i pubblici ministeri, ed è granitico il giudice per le indagini preliminari. Il quale scrive parole che paiono perentorie e definitive, un po’ come quelle dei suoi colleghi di Napoli che hanno speso le proprie fatiche diciannove volte nei confronti di Bassolino. Tra l’altro uno dei pm di Tallini è proprio quel Paolo Sirleo che indagò diciannove volte l’ex sindaco di Napoli e presidente della Regione Campania.
«Nella campagna delle elezioni del Consiglio regionale del novembre del 2014 – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare del gip – Domenico Tallini accettava dagli esponenti della cosca di ‘ndrangheta di Cutro riconducibile a Nicolino Grande Arachi, la promessa di procurare voti mediante la modalità dell’associazione a delinquere di stampo mafioso». Due prime considerazioni. Stiamo parlando del 2014. Dopo di allora Domenico Tallini è stato eletto ancora nel 2020, e precedentemente aveva ottenuto diverse migliaia di voti nel 2005 e poi nel 2010. Non pare un politico poco popolare, costretto a elemosinare piccoli pacchetti di voti. In più, se tutto si basa su quell’unica ( o qualche altra) intercettazione in cui non viene fatto il nome “dell’assessore” che starebbe seguendo la pratica burocratica, l’indizio sembra un po’ debole, anche perché Tallini era assessore al personale e non alle attività produttive.
Pure secondo il gip (e i carabinieri e i pm) l’indagato «spendeva il suo ruolo di assessore regionale uscente della Regione Calabria per favorire la conclusione dell’iter amministrativo per il rilascio delle autorizzazioni necessarie allo svolgimento dell’attività del consorzio FarmaItalia riconducibile alla cosca Grande Arachi». Che, evidentemente, nonostante i buoni propositi di agire nella legalità, di trovare professionisti al di sopra di ogni sospetto, di «fare una cosa il più pulita possibile», non doveva aver avuto grandi chanches per mandare in porto l’operazione, visto che si accusa l’ex assessore di esser addirittura riuscito a «spostare una montagna» pur di aiutare i suoi complici a realizzare il loro progetto. Stiamo parlando di un cosca “di serie A”, dice il procuratore Gratteri. Ma, dopo la lettura dell’ordinanza del gip, vien da dire: tutto qui? Manca qualcosa. Ah si, il pentito. Ma arriverà, tranquilli. Se no, sulla torta c’è la ciliegina ma manca il lievito.
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