L’Italia ha puntato sul ‘cavallo sbagliato’? Un dubbio legittimo dopo le indicazioni arrivate nelle scorse ore dall’Unione Europea attraverso la presidente Ursula von der Leyen, che annunciando un accordo con Pfizer per accelerare l’approvvigionamento di vaccini, con 50 milioni di dosi consegnate in anticipo nel secondo trimestre, ha confermato che le intenzioni dell’Ue sui vaccini sono di “focalizzarci sulle tecnologie che hanno dimostrato il loro valore: i vaccini a Rna messaggero (come Pfizer e Moderna, ndr) sono un caso chiaro”.

Un segnale di evidente bocciatura per i composti a vettore virale, come AstraZeneca e Johnson&Johnson. Come noto il primo, prodotto dalla casa farmaceutica anglo-svedese, è stato al centro di una lunga querelle sulla sua sicurezza per un legame che rarissimi casi di trombosi. Esami e studi che hanno portato l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, a raccomandarne l’uso solamente alla popolazione over 60.

Sembra probabile un trattamento simile anche il monodose americano di Johnson&Johnson, bloccato negli Stati Uniti dalla Food and Drugs Administration per sei casi di trombosi sospette sulle quasi sette milioni di dosi somministrate negli Usa. Per questo il suo utilizzo in Europa e in Italia è stato momentaneamente sospeso.

Insomma, il presunto legame tra vaccino a vettore virale e casi di trombosi mette a rischio l’uso “universale” di questo tipo di farmaci.

Una vicenda che mette a rischio l’esito della campagna di vaccinazione in Italia anche per un secondo motivo: il nostro Paese ha puntato, anche economicamente, su una tipologia di vaccino simile. Parliamo del siero sviluppato nei laboratori di Castel Romano da ReiThera, in corso di sperimentazione all’Istituto Spallanzani di Roma.

Il vaccino si basa, come AstraZeneca e Johnson&Johnson, sul vettore virale dell’adenovirus. Di un possibile stop agli under 60, come l’omologo anglo-svedese, non sembra preoccupato il ministro della Salute. “Stiamo lavorando per rendere l’Italia più forte nella produzione di vaccini sicuri ed efficaci. Tra le iniziative è già bene avviata quella di Reithera che potrà portarci ad avere il primo vaccino italiano in produzione e distribuzione”, ha detto Speranza oggi nel corso dell’informativa in aula alla Camera sull’aggiornamento della campagna vaccinale.

Attualmente il vaccino ‘italiano’ è in fase 2 e la speranza resta quella che, arrivando più tardi sul mercato rispetto ad AstraZeneca e Johnson&Johnson, i responsabili possano aver fatto ‘tesoro’ dei dati e dei problemi emersi con i sieri concorrenti. I responsabili di ReiThera, a Il Giornale, hanno spiegato che si atterranno “al parere e alle linee guida che saranno definite dalle agenzie regolatorie italiana e europea. Stiamo seguendo con attenzione tutte le informazioni relative ai vari vaccini per Covid-19 sviluppati utilizzando diverse tecnologie e quindi anche quanto sta emergendo dall’ utilizzo di quelli basati su adenovirus”.

Che l’Italia punti molto su Reithera è evidente anche dallo sforzo economico dietro la sua produzione. Invitalia, la società pubblicata guidata dall’ex commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri, ha investito ben 81 milioni di euro per entrare nell’azionariato della società, il cui azionista di maggioranza è la svizzera Keires. Altri 8 milioni di euro erano arrivati invece dalla Regione Lazio e altri tre dal Ministero dell’Istruzione.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia