L’analisi di un comune cittadino al di sopra delle parti, come ritengo di essere, mi porta a dire che la scelta di Matteo Renzi fatta qualche mese fa di invocare la parola “centro” nel simbolo elettorale è stata ritenuta da tanti e in particolare dai “popolari uniti” una scelta strategica soprattutto alla vigilia delle elezioni europee che si celebrano con la migliore delle leggi elettorali, la legge proporzionale. In quel contesto infatti si confrontano le identità politiche, l’offerta politica fatta all’elettore per superare “l’indistinto” che in tutti questi anni ha reso difficile la scelta dell’elettorato.

Insomma tanti hanno pensato che “Italia Viva” si qualificasse al centro e si ponesse quindi in alternativa alla destra e alla sinistra per rendere meno patologico il sistema politico italiano soprattutto nei confronti dell’Europa dove i gruppi parlamentari non hanno nomi di fantasia ma corrispondono ai socialisti, ai liberali, ai conservatori, ai verdi, categorie culturali facilmente riconoscibili. Il sen. Renzi aveva promesso un appello ai nuovi popolari, quelli che hanno come programma la riunificazione dei vecchi valori cattolici, laici, liberali e riformisti, quelli che hanno ispirato la politica nella lunga fase dal 1948 in poi. E tanti ritenevano che il sen. Renzi fosse l’unico in grado di rendere concreto e credibile un appello all’aggregazione delle culture omogenee esistenti nel Paese che è più sentito nell’elettorato che nei “movimenti” esistenti, senza disperdersi nello sforzo di tenere insieme anche “altro” perché non omogeneo come +Europa.

La sua funzione era questa, per la formazione culturale, per la scelta politica di mettere al “centro” la sua strategia. Siamo invece rimasti delusi perché Renzi, con uno scatto di fantasia, prepara una lista di “scopo” con +Europa ed altri, mettendo ai margini la “politica”. Ho riflettuto tanto sul significato di una lista di scopo ma non posso non pensare che lo scopo di una campagna elettorale è la politica, lo scopo di una lista è politico, l’indicazione di una identità richiesta della coscienza di ogni cittadino è per una rappresentanza omogenea da far valere in Europa. È lì che soprattutto, in un periodo così complesso e incerto, è necessario verificare una strategia politica che abbia un valore sul piano mondiale. Lo “scopo” invece sembra quello di poter “insieme” superare la soglia di sbarramento del 4% richiesta per le elezioni europee!

Quindi un’alleanza meramente tecnica che espelle la politica e mette in difficoltà l’elettore che sa bene quale è la differenza tra una alleanza politica e un accordicchio elettorale. Si perde, come avviene puntualmente dagli anni ’90, una occasione preziosa per mettere insieme l’area di centro dei popolari che si ispirano al popolarismo, l’unica cultura rimasta viva da Sturzo in poi, per aspirare ad una dialettica politica, normale e fisiologica come si conviene ad un Paese democratico. Se questo non avviene alla vigilia di una elezione proporzionale per una realtà sovranazionale e se i cittadini non comprendono che la scadenza di giugno può condizionare la storia dei prossimi anni continueremo ad avere un sovranismo miope e pericoloso. L’europeismo e l’atlantismo non sono politiche contingenti, come il governo attuale le interpreta, ma strategiche, per il futuro. Esiste uno spazio enorme nella società dopo un lungo periodo di instabilità dagli anni 90, per dare “identità” alle liste e quindi alla lotta politica che viene dolosamente trascurata e continua a restare fuori dalla porta.

Avevo previsto la fine di questo lungo periodo di transizione, perché trenta anni e più senza politica determinano l’inaridimento della democrazia e delle istituzioni, ma debbo constatare che la via è ancora lunga e tortuosa per poter determinare una rappresentanza politica consapevole in chi è chiamato dagli elettori ad essere custode delle istituzioni e della democrazia. La ricostruzione del “centro politico” alternativo alla destra e alla sinistra doveva e deve essere comunque la sfida culturale italiana ed europea.