Cina: i vuoti lasciati dalla crisi economica vengono riempiti dal meccanismo del controllo sociale. Il progetto della formazione della “grande Cina” prosegue. Cosa può accadere quando il patto tra Stato e cittadini che da tre decenni caratterizza la politica economica e sociale rischia d’incrinarsi? Il tacito scambio è noto: lo Stato guida lo sviluppo economico e sociale, diffonde il benessere, toglie milioni d’individui dalla povertà e in cambio i cittadini rinunciano ad alcune (molte) libertà individuali. Un tacito scambio che da Deng Xiaoping ha caratterizzato la rinascita della grande Cina, forgiando il modello del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Lo Stato-partito è sia il regista che l’attore protagonista, il direttore d’orchestra e il primo violino. La politica non è mediazione, ma imposizione.

Ora, soprattutto causa Coronavirus, l’economia del Paese del Dragone ha subito un forte rallentamento: è l’export che non dà soddisfazione. I mercati esteri flagellati dal Coronavirus hanno diminuito le importazioni e l’economia cinese, fortemente orientata verso l’export, sta subendo la crisi internazionale. In realtà il nuovo corso economico dettato da Pechino da tempo puntava ad un rafforzamento del mercato interno: la crisi Coronavirus sta accelerando tendenze già in atto. Ora la Cina, per continuare la sua marcia verso nuovi record ha bisogno di stabilità sociale, la “sicurezza nazionale” diventa una scusa e un’opportunità. La strategia è nota e la si trova nei manuali di scienza della politica: individuare un nemico esterno ed usarlo per creare o ristabilire il consenso interno (Hong Kong: “secessionismo ispirato dall’esterno”). I nemici sono quelli che vogliono interferire con le questioni interne alla Cina, nessuna “ingerenza esterna negli affari interni della Cina”.

La richiesta d’istituire una commissione d’inchiesta riguardante le origini e la diffusione del Coronavirus ha infastidito Pechino, come se il Covid-19 fosse una questione interna e non un virus che scavalca le frontiere e ammorba il mondo. La Cina ha mentito, insabbiato e tutto il mondo ne ha subito le conseguenze. La prevista crescita economica (non una decisa decrescita come in Occidente) sarà minore di quella che si era programmata, sta convincendo il partito-unico di Beijing a stringere i ranghi sotto l’ampio ombrello della “sicurezza nazionale” aumentando il controllo sociale interno e cercare di imporsi sulle aree non allineate Hong Kong e Taiwan. L’amministrazione speciale di Hong Kong sta stretta, Taiwan amoreggia con gli Stati Uniti e il Giappone.

Inoltre, non bisogna sottovalutare la scelta della Taiwan Semiconductor Manufactory Company, uno dei più importanti produttori di microchip, di incominciare a produrre in Arizona, negli Stati Uniti. Uno schiaffo tecnologico a Pechino. La Cina per controllare e reprimere può contare sia sulla forza muscolare che sull’aiuto della “tecnologia della repressione” anche attraverso il sistema tecnologico del “credito sociale”: il “social credit system” misura il grado d’affidabilità del cittadino (le misurazioni avvengono tramite geolocalizzazione, voiceprint, video recognition, controllo della rete). Le parole del ministro degli esteri Wang Yi sono state chiare: «la Cina intende difendere la propria sovranità e l’integrità territoriale e il proprio modello di sviluppo». Difendersi da un nemico esterno, non solo gli Stati Uniti con cui si è giunti ad «un passo da una nuova Guerra Fredda», ma anche da chi non sostiene la «riunificazione nazionale» che comprende le due citate appendici territoriali, quelle del «un Paese due sistemi», la «unità della Cina è inevitabile».

In Cina la nuova ondata di nazionalismo (Wang Yi: «La Cina di oggi non è quella di cento anni fa») ha origine antiche: le umiliazioni conseguenti alla guerra dell’oppio non sono state ancora digerite. In questa fase di repentino cambiamento Pechino non può permettersi distrazioni sociali, instabilità e voci stonate: i vuoti del calo dell’esportazioni vanno riempiti con la repressione e il controllo sociale.
Se giovedì passa la legge, e non si capisce perché il Congresso nazionale del popolo non l’approvi a larga maggioranza, a Hong Kong (così com’è già in Cina) sarà, di fatto, vietato manifestare. Il dissenso non sarà più sopportato. Come reagiranno gli altri paesi? Condanneranno l’adozione della norma restrittiva o, per convenienza economica e equilibri geopolitici, si limiteranno a diffondere comunicati usa e getta? In particolare quale posizione adotteranno i paesi più vicini alla Cina?

L’Italia rimane sotto osservazione: ieri Wolfgang Munchua sul Financial Times si chiedeva, considerando l’amicizia che caratterizza il nostro governo a Pechino, come verrà impiegata la fetta di recovery fund dedicata agli investimenti in settori strategici. Il timore è noto: le effusioni politiche tra Roma e Pechino saranno anche tecnologiche? La “nuova Guerra Fredda”, così come la precedente, comprende anche un serrato confronto sulla produzione e adozione di tecnologie. L’adozione della nuova legge sulla “sicurezza nazionale” segnerà ancora di più i rapporti tra la Cina e il resto del mondo. La “grande Cina” ha deciso di proseguire il suo cammino e d’imporsi con ogni mezzo.