Un rapporto con qualche luce e molte ombre. È quello presentato da Istat ieri mattina relativamente alla situazione economica e sociale d’Italia. Ne emerge un Paese che prova a resistere alla quasi certa recessione internazionale con un Pil che crescerà poco meno di quanto previsto dall’Esecutivo, con un livello di occupazione che cresce e che porta l’indice ai massimi storici ma con redditi ancora al palo e la propensione alla povertà uguale allo scorso anno. Senza contare il netto miglioramento dei conti pubblici con il deficit che scende al 3,4 per cento del prodotto interno lordo. Sullo sfondo la oramai conclamata crisi demografica che ridisegna il Belpaese con le sue esigenze e prospettive.

I numeri

L’analisi si apre con un focus dedicato alle prospettive di crescita dell’economia italiana nel corso del 2025. “Le previsioni più recenti per il 2025 sono di un rallentamento della crescita rispetto all’andamento già moderato del 2024, come conseguenza principalmente degli effetti dell’evoluzione delle politiche commerciali globale”. In particolare, l’Istituto di statistica cita le stime del Fondo Monetario internazionali, secondo cui il Pil italiano crescerà dello 0,4 per cento, e quelle della Banca d’Italia e del ministero dell’Economia che invece sono più ottimisti e puntato ad un incremento dello 0,7 per cento rispetto al 2024.

Guerre, dazi e incertezza globale sono i principali problemi dell’economia globale che si riversano anche sull’Italia. Le prospettive per il 2025 – spiega l’istituto statistico – sono condizionate “dalle possibili evoluzioni delle tensioni geopolitiche internazionali che rendono ogni previsione soggetta ad ampi margini di incertezza”. Istat nota anche il “netto miglioramento” dei conti pubblici con la discesa dell’indebitamento netto dal 7,2 per cento al 3,4 per cento del Pil e un debito cresciuto di sette decimi al 135,3 percento, meno di quanto stimato da Governo e Commissione europea, per la spesa per interessi (2 decimi) e la ridotta crescita del Pil.

Retribuzioni

Tra le ombre non si possono non citare le retribuzioni. Secondo Istat, infatti, tra il 2019 e il 2024 il potere di acquisto degli italiani è diminuito del 10,5 per cento a causa della forte inflazione post pandemia. Questo valore è più alto della Germania, con un calo dell’1,3 per cento, e della Spagna, che registra una diminuzione del 2,6 per cento. Un altro nervo scoperto è la produttività del lavoro. La produttività del lavoro per occupato nel 2024 si è ridotta dello 0,9 per cento e dell1,4 per cento per ora lavorata “come risultato dell’espansione dell’occupazione maggiore rispetto a quella del valore aggiunto”. Nell’anno l’occupazione è cresciuta dell’1,5 per cento con 352mila unità in più. In disoccupati si sono ridotti di 283mila unità mentre il tasso di disoccupazione è calato al 6,5 per cento.

Il dato sulla produttività, hanno spiegato i ricercatori, è legato alla composizione dell’occupazione che ha visto la crescita del lavoro in settori ad alta intensità di lavoro e a bassa produttività come il turismo e la ristorazione. Nonostante il calo del reddito da lavoro, precisa l’Istituto, tra il 2004 e il 2024 il reddito familiare equivalente “è aumentato del 6,3 per cento, grazie ai cambiamenti demografici (in particolare la riduzione della quota delle famiglie con figli), all’aumento del numero di componenti occupati e alla maggior diffusione della proprietà della casa di abitazione”. In pratica il reddito reale da lavoro per occupato si è ridotto ma quello delle famiglie è cresciuto grazie al fatto che in molti casi è entrato in casa un secondo stipendio e che la famiglia è meno numerosa.

Demografia

Il Rapporto annuale dell’Istat evidenzia che in Italia quasi un quarto della popolazione, il 23,1 per cento, è a rischio povertà o esclusione sociale ma al Sud la percentuale sale di un punto e tocca il 39,8 per cento. Un elemento importante, poi, è la dimensione dei nuclei familiari. Nel biennio 2023-2024 le persone sole costituiscono il 36,2 per cento delle famiglie e le coppie con figli scendono al 28,2 per cento. Secondo il Rapporto Istat, tra le cause instabilità coniugale, bassa fecondità e posticipo della genitorialità. L’aumento delle persone sole interessa tutte le età, ma soprattutto gli anziani. Quasi il 40 per cento delle persone di almeno 75 anni vive da solo, in prevalenza donne. Resta elevata la quota di 18-34enni che continuano a vivere nella famiglia di origine, circa due terzi, contro una media europea del 49,6 per cento.

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