È quel che si dice un salto di qualità. Perché il ministro Bonafede (ministro, santo cielo…) si era bensì esibito in prove plurime di sconsolante inadeguatezza, per esempio sciogliendo le briglie al suo italiano accidentato e mandandolo a far danno su qualsiasi argomento, in coppia sfondona con l’altra vergogna nazionale, l’avvocato del popolo che non c’è verso di tirargli fuori una frase libera da qualche insulto alla decenza grammaticale; o quando si metteva a far gara di travestimento con il ministro dei pieni poteri contro le zingaracce, e vestito da secondino filmava e metteva in musica l’arrivo del condannato da far marcire in galera.

Ma questa volta è peggio. Disinibito non più solo nel quotidiano esercizio di esemplare macellazione della nostra lingua, o nel mettersi le penne oscene di quello che fa la ruota davanti alla turba forcaiola e compiaciuto si offre di appagarne la pretesa di sangue, questa volta il signor ministro della Giustizia si è lasciato andare a considerazioni – per dirla con l’Ordine degli avvocati di Palermo, che giustamente gli ha fatto le pulci – «del tutto errate dal punto di vista tecnico-giuridico». È una definizione soffice, e comprensibilmente protocollare, per quanto anteposta a una inflessibile richiesta di dimissioni: perché il ministro Bonafede, che sta apparecchiando una riforma gravemente rivolta a frantumare il poco residuo di civiltà giuridica di questo paese, ha dato prova in questa occasione (l’altra sera, da Bruno Vespa) di non conoscere nemmeno la differenza tra dolo e colpa.

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Un’ignoranza inescusabile già se a dimostrarla è una matricola un po’ zuccona, ma che rappresenta un’onta insopportabile per l’avvocatura, per la Nazione, per le istituzioni della Repubblica se si celebra nelle dichiarazioni di un parlamentare col potere di governo in materia di giustizia. Non si dice che un ministro debba per forza essere persona di illustre dottrina, ma qui si discute della riprova ennesima di una inettitudine sfrenata, e che pretende di mettere sigilli su cosine da nulla come i diritti delle persone, la libertà degli individui. Roba che dovrebbe aver speranza di non essere amministrata da chi, letteralmente, non sa nemmeno di che cosa parla.

Né si può dire che la beata ignoranza di cui fa mostra il ministro Bonafede determini qualche sua incapacità, che cioè quel suo non saper nulla neppure dei principi elementari delle cose sottoposte al suo governo si ponga a ritenzione della sua disinvoltura riformatrice: anzi, quell’assenza di cognizione gli spiana davanti un deserto su cui posare i binari di una giustizia ferrata, coi procuratori della Repubblica officiati a capitreno. E non si sa se tutto questo faccia con dolo o con colpa: ma lo fa, e tanto basta ad alimentare un diritto di denuncia che vorremmo – questo sì – senza prescrizione.