La Siria torna gradualmente nel consesso internazionale. Dopo undici anni dall’inizio del conflitto, a Mosca è andato in scena il primo incontro tra i ministri degli Esteri di Siria e Turchia, a cui hanno partecipato anche i capi della diplomazia russa e iraniana.

Il ministro di Ankara, Mevlut Cavusoglu, ha parlato su Twitter di “bisogno di cooperare nella lotta al terrorismo” e di “necessità di lavorare insieme per porre le basi di un ritorno dei profughi siriani e di andare avanti con un processo politico in Siria in difesa dell’integrità territoriale del Paese”. Parole che confermano come in Medio Oriente sia in atto una rivoluzione silenziosa nei rapporti tra potenze in cui Damasco è una preziosa cartina di tornasole.

La riammissione nella Lega Araba, a precise condizioni, ha già trovato il rifiuto di Stati Uniti e Unione europea, intenzionate a evitare che Bashar al Assad viva una sorta di rinascita. Ma il gesto da parte della comunità araba si unisce ad altre mosse che indicano che il processo con epicentro Damasco è ben più complesso. La contemporanea riapertura dei canali diplomatici da parte di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e il ripristino dei rapporti con la Turchia segnano un cambio di passo che va unito, come un complesso puzzle, con quanto accaduto tra due delle maggior potenze dell’area, Riad e Teheran.

L’accordo tra Iran e Arabia Saudita promosso dalla Cina ha certificato l’interesse strategico di Pechino per la regione. E la richiesta di stabilità da parte di Xi Jinping è apparsa convincente soprattutto per quei governi che sono lontani o che al momento non appaiono particolarmente affini all’agenda di Washington, “distratta” su altri fronti caldi e che non mostra di essere altrettanto concentrata sui destini politici ed economici del Medio Oriente.