L’eroe del derby è un romanista d’adozione. Gliene sono serviti dieci per entrare nella storia della stracittadina, ora l’obiettivo è raggiunto, ferendo con lo stesso risultato con cui la Roma, sotto la gestione Mourinho, era entrata nel tunnel delle quattro sconfitte e di un pareggio in cinque partite. L’1-0, subìto tre volte nel giro di due anni è ricambiato oggi, per ritrovare una vittoria che mancava dall’inizio della storia d’amore con il portoghese, finita appena dopo l’eliminazione in Coppa Italia proprio ad opera della Lazio, per farne posto ad un’altra, più sentimentale e storica, e finora senza sbavature.

La gestione De rossi supera l’ostacolo più grande, che da tempo stava diventando un peso. Dà respiro in classifica e fiducia in Europa, e soprattutto “‘na gioia” che da troppo mancava. La Roma mette in campo la voglia di vincerla nel primo tempo, non collezionando troppe occasioni ma sfruttando quella buona quando El Shaarawy conquista un calcio d’angolo sotto la sud, che al 42’ Mancini spedisce in porta, di testa, su cross di Dybala. La Lazio prova qualche affondo ma non impegna mai Svilar. Ne esce fuori una partita migliore rispetto a quelle cui le recenti Roma e Lazio avevano abituato, ma pur sempre condizionata dal peso dei punti. La squadra di De Rossi sapeva come cavarsela, in un modo o nell’altro. Quella di Tudor, ancora in costruzione e confusione, ha sbattuto contro un muro.

E così i giallorossi mantengono il vantaggio annullando le individualità degli avversari, e quando ne prendono coscienza capiscono che il rischio d’attaccare è una strada da non percorrere. Troppo pesava la mancanza di vittorie nella stracittadina, ancora più dei tre punti per la corsa Champions. Persino l’entrata in campo di Abraham, il centravanti da 27 gol alla sua prima stagione nella Capitale, assente per infortunio dalla fine dello scorso campionato, è semplicemente delegata a compiti difensivi. Il resto lo fa il clima dei tifosi, che difendono l’1-0 fino al triplice fischio, contro l’arbitro Guida che a metà secondo tempo, quando sale il nervosismo, perde il controllo della partita senza più vedere un fallo a favore dei giallorossi.

La Roma l’ha vinta col romanismo, quello che De Rossi ha infuso nella squadra e che Mancini ha fatto suo: il primo ad andare sotto la Curva Sud a fine partita, e che per festeggiare sceglie ancora una bandiera, stavolta anti-lazio, per poi sparire tra i fotografi. Sul volto dell’allenatore resta stampato un grido, ma là sotto, nell’immediato sembra non voler andare: scende le scalette, vola verso gli spogliatoi. Qualche minuto dopo ci ripensa e torna con la squadra. La strada per un’altro derby, quello italiano in Europa League contro il Milan, era già all’orizzonte, ma togliendogli la giacca i giocatori lo “hanno preso di peso e trascinato” (come racconta a fine partita). Era il suo primo derby da allenatore. Non lasciarsi andare sarebbe stato un peccato. E se è vero che tra i suoi unici rimpianti c’è quello di aver donato alla Roma soltanto una vita, per la seconda sembra esserci ancora tempo.