La replica
Rutte va a rassicurare Zelensky. Trump prende tempo e non condanna Sumy: l’obiettivo è evitare l’incidente diplomatico

Sono passati ormai tre giorni dall’attacco russo sulla città ucraina di Sumy. Ma quel bombardamento continua a produrre effetti. Non tattici, nemmeno strategici, ma politici. Sul fronte ucraino, ieri è stato destituito il governatore della provincia di Sumy, Volodimir Artiuj, dopo che aveva ammesso che in città, il giorno del raid, si era tenuto un evento militare. Una cerimonia di consegna di alcune onorificenze, come ha spiegato il sindaco di Konotop, Artem Semenjin, che avrebbe però “aiutato la Russia a giustificare il suo attacco terroristico, un attacco genocida contro di noi, ucraini”, poiché Mosca ha detto di avere voluto colpire un obiettivo militare nonostante la presenza di civili.
Nessun negoziato
Ma le conseguenze politiche più importanti sono soprattutto quelle che si vedono sul fronte internazionale. Il bombardamento di Sumy e l’escalation cui si assiste in questi giorni, per molti leader europei e per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dovrebbero far capire al mondo e in particolare a Washington che Vladimir Putin non avrebbe in realtà alcuna intenzione di arrivare alla pace attraverso un negoziato, ma solo a un accordo che implica la resa dell’Ucraina.
Il piano di Trump
Questa convinzione però non alberga nei corridoi della Casa Bianca, dove il presidente Donald Trump sembra invece ancora convinto di poter finalizzare il negoziato con Mosca. La conferma è arrivata anche ieri da un’indiscrezione di Bloomberg, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero deciso di boicottare una dichiarazione del G7 di condanna dell’attacco russo. Per le fonti dell’agenzia di stampa, il motivo sarebbe il desiderio di Trump di evitare frizioni con Putin. Quindi, nella mente di The Donald, una firma di Washington su una dichiarazione riguardo Sumy potrebbe essere interpretata dai russi come un incidente diplomatico. E del resto, lo stesso presidente Usa ha sempre evitato di accusare la Russia per il bombardamento, prima definendolo “un errore” e poi criticando allo stesso modo Putin, il presidente ucraino Zelensky e il suo predecessore Joe Biden per avere causato la guerra. Ma il “no” degli Stati Uniti a questa dichiarazione rischia di aprire una nuova faglia tra Kyiv, Washington e le varie capitali europee impegnate nel non abbandonare l’Ucraina al proprio destino. Zelensky ieri ha incassato di nuovo il supporto del segretario generale della Nato, Mark Rutte, arrivato a sorpresa a Odessa. L’ex premer olandese ha riaffermato il “sostegno incrollabile” dell’Alleanza atlantica. E il presidente ucraino, oltre ad avere chiesto con urgenza nuove difese aeree, ha esortato Rutte e i “volenterosi” a rendere effettivo il contingente di sicurezza su cui stanno lavorando Francia e Regno Unito. L’impegno della Nato e le speranze di Zelensky si basano però necessariamente sulle intenzioni di Trump.
Il timore del governo americano
Un presidente impegnato in un negoziato che lo stesso Rutte ha detto di sostenere, pur considerandolo “non facile”, ma che a molti appare fin troppo accondiscendente nei riguardi del Cremlino. Questo timore non riguarda solo gli esperti e gli oppositori dell’attuale amministrazione, ma anche alcuni elementi dello stesso governo americano. Secondo il quotidiano, diversi alti funzionari, tra cui il segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato per l’Ucraina, Keith Kellogg, vorrebbero una linea più dura verso Mosca e più cautela nei rapporti con Putin. Ma The Donald per ora sembra ancora convinto della rotta intrapresa da lui e dal suo uomo di fiducia, Steve Witkoff, che intervistato da Fox News ha confermato ancora una volta la linea “morbida” nei riguardi del Cremlino.
Secondo Witkoff, Putin è “disponibile a una pace permanente” e l’accordo riguarda diverse questioni di sicurezza oltre che “i cinque territori”. Territori che l’inviato di Trump non ha nominato ma che dovrebbero essere Crimea, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson. Ma Zelensky, da Odessa, ha risposto in modo molto chiaro: “Solo il popolo ucraino può parlare dei territori del nostro Stato. E sapete che per noi la linea rossa consiste nel riconoscere qualsiasi territorio temporaneamente occupato non come ucraino, ma russo”.
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