Il Servizio sanitario nazionale risente ancora dell’enorme sforzo perpetrato durante gli infiniti mesi della pandemia, a continuare a risentirne di più sono le liste d’attesa nelle strutture ospedaliere e il numero – in forte calo – delle visite specialistiche. Un’utopia riuscire ad accedere gratuitamente (e nei tempi corretti) alle varie prestazioni sanitarie: per sottoporsi all’esame della mammografia sono necessari due anni d’attesa; per una rimozione di un tumore all’utero da fare con urgenza (entro 30 giorni), circa tre mesi; per una visita ginecologica da effettuare entro 72 ore, 2 mesi; visita cardiologica? Anch’essa due mesi, quando invece dovrebbe essere eseguita entro 10 giorni.

Per il “Rapporto civico sulla salute 2023” di Cittadinanzattiva nessuna prima visita di ‘classe U’ (ovvero urgente da svolgersi entro 72 ore) è stata fissata nei tempi previsti. I pazienti seguiti dai reparti di cardiologia, endocrinologia, oncologia e pneumologia hanno atteso, con priorità, anche 60 giorni, senza, le attese superano l’anno. Sessanta giorni per le visite specialistiche urgenti o categoria B, fino a 181 per le prime visite neurologiche, 90 per quelle oculistiche per le quali, senza priorità, si rimane nel limbo fino a 455 giorni. Il tempo sprecato nell’attesa di una mammografia di classe B arriva a 150 giorni.

Tra tutte le storie che si celano dietro a questi numeri c’è quella del padre di un bambino di 4 anni affetto da patologia cardiaca congenita, che non riesce a prenotare le visite di controllo semestrali per il figlio tramite il Ssn, così si rivolge all’intramoenia. L’uomo ha contattato il Centro unico di prenotazione della sua regione ma nessuna struttura era disponibile ad effettuare la visita nelle 72 ore previste. Così il padre del bambino si è rivolto ad una struttura privata.

L’unica alternativa che rimane a molti, quasi tutti, coloro che vogliono sbrigare le visite nei tempi. Tutti quelli che se lo possono permettere. Chi non può infatti, rinuncia alle cure. Questo trend è confermato dai dati riferiti all’anno 2022 dell’Istat che rilevano come la quota di persone che ha effettuato visite specialistiche è passata dal 42.3 per cento del 2019 al 38.8 del 2022, contemporaneamente ad un aumento di chi ha dichiarato di aver pagato visite intramoenia, passate dal 37 per cento ad oltre il 41 nello stesso lasso di tempo.

Da Cittadinanzattiva ricordano come le lungaggini delle liste d’attesa non siano una novità, anche se la pandemia ha aggravato la situazione che non si è ancora ripresa. Le regioni hanno speso – secondo il report – solo il 69 per cento dei 500 milioni messi a disposizione per recuperare le prestazioni perse. Per queste ragioni le donne e gli uomini di Cittadinanzattiva hanno indetto a Roma per sabato 11 dalle ore 14 davanti al Ministero della salute una mobilitazione per dare voce alle difficoltà dei cittadini nell’accesso ai servizi sanitari nei loro territori.