L'analisi
Sanremo, una macchina da soldi e streaming. Quanto vale la partecipazione al Festival per case discografiche investitori

Con l’evoluzione delle modalità di fruizione della musica, il Festival di Sanremo si è trasformato in una vera e propria macchina da streaming, capace di generare ricavi milionari indipendentemente dai verdetti della giuria o del televoto.
Il parametro
In questo scenario, le piattaforme digitali hanno preso il posto del vecchio mercato dei dischi, ridefinendo il concetto di successo musicale: se un tempo il Festival decretava il trionfo di una canzone soprattutto attraverso le vendite fisiche, oggi la longevità e la redditività di un brano si misurano in milioni di stream e nelle royalties che ne derivano. Ecco perché l’appuntamento sanremese non è solo una competizione tra artisti, ma un’occasione d’oro per le case discografiche e gli investitori, che puntano su hit destinate a macinare ascolti e incassi ben oltre la settimana festivaliera.
Le royalties
Secondo Eugenio Allora Abbondi, director di Eico Music, il primo fondo finanziario di investimento in royalties musicali operante in Italia. “Nelle edizioni più recenti del Festival, alcune canzoni hanno ottenuto risultati significativi in termini di ascolti e ricavi. Brividi di Mahmood & Blanco, presentata nel 2022, h superato i 141 milioni di stream su Spotify, con royalties stimate intorno ai 527.833 euro. ‘Zitti e buoni’ dei Måneskin, vincitrice nel 2021, ha superato i 440 milioni di stream su Spotify, generando royalties per circa 1.640.025 euro”. I dati disponibili sul mercato musicale a livello globale dicono che il mercato della musica arriva a cresce anche del 9,0% in un anno, trainato proprio dai media digitali, con ricavi commerciali di oltre 26miliardi di dollari.
Il fondo musicale
Conseguenza ne è la redditività dei diritti d’autore. Il più recente report della Confederazione Internazionale delle Società di Autori e Compositori calcola che le royalties raccolte a livello mondiale abbiano raggiunto i 9,6 miliardi di euro, con il primato dell’Europa di 5,29 miliardi, ovvero il 55,2% del totale. La musica rappresenta un asset esclusivo e prezioso, capace di generare royalties in ogni contesto. “Investire in un fondo basato sui diritti musicali si rivela una scelta particolarmente attraente per via della sua capacità di offrire un flusso di reddito passivo e stabile, derivante dalle licenze e dagli utilizzi delle opere musicali in qualsiasi contesto”, spiega Eugenio Allora Abbondi, EICO Music Fund è un comparto di EICO Funds Sicav plc, il primo fondo AIF (Alternative Investment Fund) di diritto europeo dedicato all’investimento nel mondo della musica. Già oggi detiene un vasto catalogo editoriale (oltre 18.000 brani) prevalentemente composto da canzoni iconiche di importanti artisti quali, solo per citarne alcuni, Rihanna, Katy Perry, David Guetta, Britney Spears, Simple Minds, Renato Zero, Alessandro Mannarino, Riccardo Cocciante e Zucchero. Amministra inoltre un catalogo di oltre 350.000 brani per importanti player nazionali ed internazionali.
“Per la valutazione dei cataloghi siamo supportati da un potente software proprietario che, basandosi sull’analisi storica dei flussi di milioni di brani riesce a garantire valorizzazioni realistiche dei cataloghi”, spiega il direttore di EICO Funds. Questa forma di investimento si distingue per la sua resilienza economica, mantenendo una forte domanda anche nei periodi di incertezza finanziaria dovuta a fattori esterni come guerre o crisi economiche. Quello musicale è inoltre un mercato in costante crescita, sostenuta dall’evoluzione delle tecnologie di streaming e dalla globalizzazione del settore. La diversificazione apportata ai portafogli degli investitori riduce inoltre il rischio complessivo, sfruttando la bassa correlazione del comparto musicale con i mercati finanziari tradizionali”.
Un reddito passivo
“Non va sottovaluta la positiva correlazione all’inflazione in quanto la musica fa parte del paniere HICP, l’Indice armonizzato dei prezzi al consumo della Banca Centrale Europea. “Inoltre – continua Allora Abbondi – i diritti musicali generano entrate ogni volta che un brano viene riprodotto, offrendo un flusso costante di reddito passivo, ma che l’approccio attivo di un fondo di investimento punta ad ottimizzare. Si tratta poi di un asset solido e con una durata centenaria”. Basti pensare che lo sfruttamento economico del diritto d’autore decade solo 70 anni dopo la morte dell’ultimo autore ed è unico per ogni brano. Di conseguenza unicità e rarità, come nel caso dell’acquisto di un dipinto, sono due componenti favorevoli”.
A questo si aggiungono la bassa volatilità, in quanto le royalties generate da brani storici sono molto costanti nel tempo e gli alti ritorni.
Per quanto riguarda il rendimento, i numeri sono assolutamente interessanti: “Ambiamo a mantenere una resa costante nel tempo di oltre il 7% annuo”.
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