Una accoltellata selvaggiamente per strada, un’altra ritrovata in una valigia. Entrambe studentesse di appena 22 anni, entrambe uccise dal coltello di due uomini che hanno preteso di esercitare su di loro la più malvagia e feroce forma di controllo, ovvero quella di fermarne la vita. Due storie diverse, certo, ma che hanno in comune non solo il tragico epilogo macchiato di sangue, perché in entrambi i casi emerge quella che in delitti come questi è una costante: la soppressione di una donna della quale non si riusciva a contenere la libertà.

In queste ore la reazione emotiva è comprensibilmente molto forte. Perché i due tragici eventi, la morte di Sara a Messina e il ritrovamento del corpo di Ilaria vicino Roma, trasmettono una sensazione di insicurezza e di preoccupazione ancora più amplificata. Le due morti, i due infami gesti di violenza, in questo modo disegnano una striscia, compongono una serie percepibile anche ai più distratti, e definiscono i contorni non di due semplici fatti, ma di un fenomeno dalle proporzioni inquietanti. Un fenomeno ancora colpevolmente sottovalutato nella sua dimensione, nell’impatto non solo sulle vittime ma anche sulla vita delle sopravvissute.

Eccolo il termine: sopravvissute. L’elenco dei femminicidi, già in sé mostruoso e terrificante, è ben poca cosa rispetto a quello delle sopravvissute. Il catalogo, cioè, di quante hanno provato la violenza esercitata da un vigliacco fuori controllo, che hanno visto il baratro e avvertito il terrore di non potersi salvare. Sono tante, tantissime. E la fine di Sara e Ilaria risveglia inevitabilmente una sensazione che non è semplicemente di scampato pericolo, ma anche di quella solitudine che accompagna per sempre chi si rende conto di essere sopravvissuta dove altre non sono riuscite. Alcune si sono salvate perché hanno trovato il coraggio, la risolutezza e il supporto per trarsi in salvo. Ed altre invece sono state solo fortunate. E non si può ammettere la condizione di essere vive solo per caso, per fortuna.

Non ci aiutano le parole e i propositi. Non alleviano in alcun modo la sofferenza delle famiglie e degli amici di quelle due povere ragazze interrotte. Né le statistiche riescono a farci avvertire la minima traccia di inversione di una tendenza dilagante, apparentemente inarrestabile.

Ogni volta che accade, e accade troppo spesso, non abbiamo modo di sottrarci allo sconforto di una battaglia che continuiamo a perdere. Ma non possiamo fermarci, non dobbiamo mai rassegnarci. Chiunque in queste ore legga della morte di Sara e di Ilaria, e nel farlo avverta di sentirsi anche solo vagamente in pericolo, trovi il coraggio di chiedere subito aiuto. Abbia la salda consapevolezza che il minimo disagio, la più insignificante e strisciante molestia sono già sufficienti a lanciare un allarme, ad alzare le opportune difese.

In ogni casa, in ogni famiglia, come in ogni gruppo di amici, si colga l’occasione per andare oltre il brivido di panico e di incertezza che si diffonde in queste ore, e si porga l’orecchio a ogni possibile situazione di necessità. Questo che uccide tante donne è come un virus impalpabile che colpisce d’improvviso. Non sottovalutiamone i sintomi. Non trascuriamo le nostre amiche, le nostre figlie. Stiamo attente.