Martin Scorsese non ha mai finito di girare un film, neppure uno. Lo dice lui stesso: «Il cinema non è mai una questione di singole immagini. Sono immagini in movimento, ma soprattutto immagini unite insieme. Si prende un’immagine, la si mette accanto a un’altra immagine, e una terza immagine si accende nella mente». E se è vero per le immagini di uno stesso film, perché non dovrebbe valere per le immagini dei diversi film della carriera, che sono, in fondo, un continuum dello stesso cammino di ricerca? «Mi rendo conto che creo film che portano ad altre domande, ad altri misteri», dice Scorsese.

Le domande sono la linfa ma anche il contenuto stesso dei suoi film. Ci è parsa questa la chiave di volta del libro Dialoghi sulla fede (La nave di Teseo), ciclo di conversazioni del grande regista italoamericano con padre Antonio Spadaro, ex direttore de “La Civiltà Cattolica” e sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione. Il libro ha ricevuto l’11 dicembre scorso il Premio Diego Fabbri come il Miglior libro di cinema del 2024 nell’ambito della rassegna Cinematografo Awards. Ma più che un libro sul cinema o sulla fede, ci sembra una meravigliosa lezione sull’origine e lo sviluppo della creatività.

Al cuore della creatività, si diceva, ci sono le domande, ma non tutte sono uguali. «C’è una differenza profonda – si legge nel libro – tra problema e mistero: nel mistero la risposta non esaurisce la domanda. E i misteri non si devono trasformare in problemi». Ma c’è una domanda in particolare, la domanda delle domande, che ha accompagnato sempre questo genio creativo: «perché quella persona è così?».
È la domanda su una persona precisa, Gesù, la domanda della fede cristiana, ma in lui l’ha accesa un uomo in carne e ossa, padre Francesco Principe. «Aveva 23 anni ed era alla sua prima parrocchia e di colpo ci ha trasmesso una maniera del tutto nuova e fresca di vedere la vita», portando questa freschezza e novità in quel mondo crudele di little Italy che lo circondava e a cui si opponeva. “Non dovete vivere così”, diceva ai suoi ragazzi, portando luce su un’altra grande domanda inevitabile in quei luoghi, «Perché c’è il male?», e completandola con un’altra non meno urgente «Come faccio a vivere bene quando faccio esperienza del male?». È la meravigliosa formulazione, nella sua semplicità, da cui prendono forma capolavori come Toro Scatenato.

Allo stesso modo la domanda su Gesù, o sulla consistenza di padre Principe (è, di fatto, la stessa domanda!) lo muovono per L’ultima tentazione di Cristo (1988), e, con sentimento di urgenza e insoddisfazione, lo accompagnano in quel capolavoro che è Silence (2016). «Questo desiderio di vedere Gesù, di impegnarsi con lui, mi era rimasto dentro». Non sono domande semplici quelle di Scorsese. Non solo perché non si esauriscono, ma perché non accomodano. «Bisogna davvero esplorarlo e capirlo, l’amore di Dio, e accettare che non finirai mai di farlo» dice a Spadaro. La fede, e Gesù, non sono mai un anestetico o un tappo che chiude le questioni; non è mai, la fede, una comoda risposta per acquietare le grandi domande che sin da bambino, quando era chierichetto, dopo la Messa gli nascevano in cuore: “Perché non è cambiato nulla dopo la Messa? Perché il mondo non viene scosso dal corpo e dal sangue di Cristo?”.

Aveva la stessa serietà quando, da adulto, si inginocchiava davanti al Santo Sepolcro, diceva una preghiera, ma ammetteva di «non sentirsi diverso». Oppure quando, alla soglia degli ottant’anni, uomo di successo, si ritrova addosso una domanda sulla consistenza di sé, con il Covid che irrompeva e gli sciupava i progetti da regista: «Se non avessi potuto girare quel film, chi ero io?». Da insegnante leggerò parte del libro sulle scuole, perché parla di fede ma porta uno sguardo totalmente laico sulla creatività. Darei alle letture un titolo semplicissimo, «Che cos’è l’arte?”, partendo da una definizione di Scorsese che è per me una sintesi perfetta del libro: «L’arte è una conversazione costante».