«Il Pnrr avrà degli effetti solo se riparte il Sud. Il Nord non ha possibilità di fare miracoli, è sfiatato. Ma il Mezzogiorno deve mettersi insieme per dialogare con il Nord in una prospettiva nazionale, qui invece le otto regioni del Sud non hanno presentato neanche mezzo progetto comune». Adriano Giannola, presidente Svimez, sulle sorti del Sud e dell’Italia.

Presidente, le anticipazioni del rapporto Svimez 2022 restituiscono la fotografia di un Sud che arranca e che rischia davvero di perdere l’occasione del Pnrr. Quali sono i dati più preoccupanti che emergono dalla vostra analisi?
«Il dato più preoccupante è questo: il Pnrr non funziona per quella parte che dovrebbe essere il rispetto delle condizionalità poste dall’Europa per l’utilizzo dei fondi, cioè la riduzione del divario Nord-Sud e l’aumento della coesione sociale. Al momento, sembra che il Governo faccia di tutto per tergiversare su questo aspetto, ha annunciato con grande clamore che il 40% delle risorse saranno destinate al Mezzogiorno ma si tratta di una quota ridicola rispetto ai divari esistenti e soprattutto di una quota a rischio».

Perché il Sud rischia di perdere le risorse economiche del Pnrr?
«Per due motivi. Innanzitutto il metodo per allocare i finanziamenti, cioè quello dei bandi competitivi, è un metodo ridicolo che non fa che far fuggire il governo dalle responsabilità che ha assunto facendosi approvare un Pnrr europeo con quelle condizionalità laddove non c’è nessun bisogno di creare un metodo assurdo che fa perdere tempo, risorse e non affronta il vero problema. Il Governo è perfettamente a conoscenza dei divari e di cosa fare per ridurli, almeno quelli strutturali, parliamo di cose semplici come scuole, palestre, piscine e del sistema sanitario. Tutto questo è lontanissimo dalla filosofia di questo Governo ed è molto paradossale che questo continui senza una risposta effettiva. Il secondo motivo che aggrava questo aspetto è che i tempi di realizzazione di qualsiasi progetto che si voglia fare al Sud sono ormai hai limiti della credibilità, non si potranno usare i fondi del Pnrr».

Ci fa un esempio concreto?
«Certo. C’è il paradosso che la Sicilia, per esempio, per poter realizzare ciò che avrebbe in mente di fare con i fondi del Pnrr sarebbe dovuta partire già due mesi fa. Quindi, c’è un problema molto importante di adeguamento alla capacità operativa, progettuale e realizzativa. E anche su questo il Governo ha strumenti a disposizione che non devono essere necessariamente commissari straordinari, ma un metodo e pare che il metodo proprio non ci sia. La nostra impressione è che in questo guazzabuglio di progetti infiniti non ci siano priorità chiare per poter cambiare il sistema Italia nella sua economia in modo da metterlo in marcia più stabilmente, e ci sarà un grave arresto della ripresa nel 2023/2024».

C’è anche il tema importantissimo della transizione energetica che pare non essere più fondamentale come all’inizio, non ne parla nessuno…
«È così. Ci sarebbe moltissimo da fare per ciò che concerne la transizione energetica e con grande vantaggio da parte dell’Italia, ma non mi sembra che ci sia una strategia che quanto meno si proponga di ottimizzare l’uso delle risorse fossili e di massimizzare l’utilizzo delle risorse rinnovabili. Sarebbe il compito fondamentale in questo momento: recepire le emergenze poste dalla guerra e trasformarle in opportunità. Di questo non c’è traccia. C’è solo una grande soddisfazione per il fatto che riusciremo a prendere dall’Algeria, dal Mozambico quello che ci manca, ma detto questo manca una modifica strutturale nell’uso e nel consumo delle energie fossili, una razionalizzazione della logistica in campo mediterraneo. Prima di andare in Mozambico, vogliamo vedere quanta energia riusciamo a produrre da soli? E questi dovrebbero essere i grandi temi della politica e magari anche del dibattito elettorale, ma mi pare che la politica non abbia il più pallido interesse a intervenire. Si parla solo di questioni che io definirei “armi di massa” per accaparrarsi i voti. L’Europa ci impone di fare una riflessione sul nostro ruolo nel Mediterraneo, ma è una riflessione non pervenuta proprio nei ministeri più importanti».

Presidente, a fronte di queste considerazioni, siamo in grado di stimare quante risorse di quel famoso 40% rischiamo di perdere concretamente?
«Fare una stima delle risorse che potremmo perdere è un po’ complicato perché questi bandi prevedono anche più del 40% di risorse destinate al Sud. Pensiamo alla scuola, per esempio, ma a quelle condizioni di competitività, si mettono in competizione anche i Comuni del Mezzogiorno tra di loro e a quel punto il rischio è che si spenda anche il 40% di risorse ma che si spendano in quei Comuni che non ne avevano bisogno quanto gli altri. Sui grandi progetti poi come l’alta velocità Salerno- Reggio Calabria non è ancora chiaro quale sia il percorso, ovviamente non si riuscirà a costruirlo entro il 2030, ci saranno solo dei pezzi sui quali le ferrovie hanno aperto il confronto con le comunità locali ma in realtà non c’è stato nessun confronto. Sembra che chi dovrebbe comandare, deleghi. Anche nelle grandi opere, quindi, non c’è chiarezza nei progetti. Stesso discorso vale per le Zone Economiche Speciali (Zes). Hanno milioni di finanziamento, ma se non sono zone franche, sono inutili. Su otto solo una ha avuto questa concessione. C’è un marasma rispetto a un trionfalismo nel quale si dice: l’Europa ci ha approvato tutte e cinquanta le riforme, ma le riforme che contano sono fare e avere obiettivi che contano. Questi obiettivi il Governo non li ha mai forniti perché non ce li ha. Si va avanti senza ascoltare, senza strategie e senza obiettivi. E il Pnrr è un piano del Governo e non delle Regioni e dei Comuni».

È stato un errore attribuire poteri alle Regioni?
«Sì, le Regioni hanno già altre cose a cui badare per esempio l’agenda 2021/2027 quindi non sono in prima fila con il Pnrr. E poi la politica locale la chiamerei in causa il meno possibile. La politica locale è il disastro di questo Paese. Nel Mezzogiorno non c’è stata un’iniziativa comune di tutte le Regioni del Sud per il Pnrr. Ogni Regione ha rivendicato questo o quello, ma non si è messa insieme per gridare di cosa hanno bisogno venti milioni di cittadini ghettizzati da vent’anni. Meno politica locale e più responsabilità di quella centrale. E nel frattempo, il governo si diletta in progetti di legge sull’autonomia rafforzata, non credo che questo sia un segno di massima responsabilità».

In conclusione, quante possibilità ha il Sud di ridurre davvero il divario con il Nord?
«Paradossalmente il Pnrr avrà degli effetti solo se riparte il Sud. Il Nord non ha possibilità di fare miracoli, è sfiatato. Invocano l’autonomia differenziata per formalizzare i privilegi di questi ultimi vent’anni. Le possibilità dell’Italia dipendono dal Sud. I cittadini e i politici dovrebbero avere coscienza di questo per poter aprire un discorso nazionale».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.