Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sull’intervento in Senato della ministra del Turismo Daniela Santanchè sulla vicenda relative alle presunte irregolarità delle sue aziende Visibilia e Ki Group: il suo discorso è stato convincente? Favorevole il Deputato di Fratelli d’Italia Marco Osnato secondo cui “i politici non sono marziani e il Ministro lo ha spiegato bene“. Contraria la senatrice del Pd Simona Malpezzi. “Non siamo giustizialisti ma la Ministra ha perso una occasione” il suo commento.

Qui l’intervento di Marco Osnato:

Chi fa parte del Governo o siede in Parlamento non viene da Marte, sebbene una certa narrazione abbia voluto far credere in maniera artificiosa — e, sì, populista — che «politica» e «tecnica» siano mondi contrapposti, pressoché inconciliabili. Il corollario è che i componenti delle istituzioni elettive dovrebbero dire addio a ogni loro attività nel settore privato, dedicandosi in via esclusiva a un “teatrino” in cui si indossa la maschera del potere dimenticando chi si è e da dove si proviene. Ieri, intervenendo in Senato, il ministro Santanchè ha denunciato con chiarezza quanto fallace sia un’impostazione del genere.

I politici non sono extraterrestri! Sono cittadini come gli altri, spesso motivati da una sincera passione per la «cosa pubblica», consapevoli però che la “cadrega” può essere anche solo una piccola parentesi in una vita professionale ben più ampia. Dopo il taglio di quasi un terzo del numero dei parlamentari, molti miei ex colleghi sono tornati alle “carriere” precedenti, delle quali evidentemente non si erano dimenticati. Sono forse diventati dei casi-studio? No, perché è una cosa normale. Succede in tutte le democrazie; soprattutto in quelle anglosassoni, che notoriamente funzionano meglio.

La storia della nostra Penisola non è certo avara di esempi. Tito Livio e altri storici latini raccontano di Cincinnato: dedicatosi all’agricoltura dopo una prima esperienza politica, fu chiamato a un nuovo incarico — per difendere la Repubblica — proprio mentre era intento al lavoro dei campi. E chi crede nei valori del centrodestra non può dimenticare la «discesa in campo» di Silvio Berlusconi, che prima del ’94 aveva costruito il proprio successo in diversi settori imprenditoriali ma certo non aveva mai calcato le scene dei palazzi romani. Ecco, proprio la sua parabola di statista — bersaglio di alcune frange ideologizzate della magistratura, con la complicità di una parta dei mass media — ci ricorda quale sia spesso, purtroppo, il destino delle persone che non “nascono con la toga” ma al contrario, dopo aver toccato con mano le difficoltà di un Paese che tutti vorremmo diverso, scelgono di provare a cambiarlo con un impegno in prima persona.

Nella politica italiana, ahimè, i toni moraleggianti non sono mai stati un’eccezione. Tra i loro “campioni” ricordiamo Cola di Rienzo a Roma e Girolamo Savonarola a Firenze: entrambi ebbero successo perché il popolo era stanco dello sfarzo e dell’inconcludenza dei loro predecessori; ed entrambi fecero una brutta fine, quando la massa che li aveva “elevati” si stancò di loro con la stessa facilità con cui se ne era invaghita. La campagna mediatica contro Daniela Santanchè ci riporta alla memoria il celebre aforisma di un noto intellettuale italiano, certo non sospettabile di simpatie destrorse: «La storia insegna, ma non ha scolari».

I giornali fanno sicuramente bene a condurre le loro inchieste: non c’è dubbio che la qualità della democrazia cresca insieme a quella dell’informazione. Ma il «quarto potere» è, appunto, un potere. Come tutti gli altri, deve essere usato con responsabilità: cioè aderendo a una deontologia rigorosa che dovrebbe far astenere dal pubblicare notizie non verificate, riportare voci di corridoio, alimentare illazioni magari sulla base delle famose “veline” — altrimenti qualificabili come «informazione a orologeria» — il cui unico obiettivo sia danneggiare l’avversario politico. Sotto questo profilo, «Il Riformista» ha sempre rappresentato un esempio positivo.

«Chi fa può sbagliare», ha detto il ministro Santanchè, evidenziando come molti suoi critici preferiscano pontificare sulla gestione aziendale senza essersi mai alzati dal divano, soltanto per il gusto della polemica ed ergendosi fintamente a paladini dei diritti dei lavoratori. Gli stessi di cui, in realtà, sembravano essersi dimenticati quando erano al governo… Non si tratta di garantismo o giustizialismo: basterebbe sapersi mettere nei panni dell’altro — un individuo, non un nemico — assumendone la buona fede e rinunciando a strumentalizzare. Non è facile, ma un giorno ci arriveremo.