Il suo addio a Sinistra Italiana
“Sì sofferto a Draghi, la lotta va fatta nella maggioranza”, intervista a Erasmo Palazzotto
Una scelta dolorosa ma inevitabile. Uscire da Sinistra Italiana e votare a favore del Governo Draghi. Con Il Riformista, Erasmo Palazzotto, deputato di LeU e presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, torna sulle ragioni della separazione.
Scindersi e ancora scindersi. La scissione dell’atomo che si fa politica a sinistra. Come lo spiega? È “solo” il prodotto di un giudizio diverso sul governo Draghi?
No. È qualcosa che viene da più lontano. È il nodo irrisolto di una sinistra che fino a qui non ha avuto la capacità di definire il suo ruolo politico in questa fase storica. Ed è per questo che continua a dividersi non avendo elaborato una prospettiva e una strategia all’altezza delle sfide che abbiamo davanti a noi, in primo luogo quella di difendere e tutelare la democrazia.
Nella politica italiana è molto praticato lo “sport” del salto sul carro del vincitore. Non nota anche questo tra i tanti, a sinistra, a destra, al centro, che sono stati folgorati sulla via del “draghismo”?
A me sembra che nella politica italiana con l’arrivo del governo Draghi non ci sia un vincitore, ma ci sia una generale sconfitta di cui bisogna prendere atto e da cui bisogna cominciare a ricostruire. Parlo in primo luogo per il campo di cui mi sento di appartenere, che è quello dell’Alleanza per uno sviluppo sostenibile, come l’ha chiamata il presidente Conte, ovvero l’alleanza tra Pd, Movimento 5Stelle e LeU, che è lo strumento più prezioso che abbiamo per ricostruire un campo progressista e democratico in grado di governare il Paese e di dare una prospettiva per i prossimi anni.
A proposito di questa prospettiva e di questa alleanza. La costituzione al Senato dell’intergruppo Pd-5Stelle-LeU, ha aperto uno scontro all’interno del Partito democratico. Matteo Orfini, ad esempio, afferma, senza giri di parole, che si tratta di una “scelta insensata”. E rincara la dose, parlando di “Un fronte pro Conte irrispettoso di Draghi”. Qual è la sua valutazione?
Non sarà un pranzo. La costruzione di una identità politica di un’alleanza complessa, che mescola culture politiche, avrà bisogno di tempo, comporterà fatica, necessiterà di un rispetto reciproco e di spazio anche per opinioni diverse. Io rispetto l’opinione di Matteo Orfini ma penso che oggi la sinistra debba porsi il tema dei rapporti di forza. Senza l’alleanza strategica delle forze progressiste e di sinistra col Movimento 5 Stelle, e vale anche dall’altra parte, i 5Stelle senza l’alleanza strategica con la sinistra non avrà rapporti di forza sufficiente per vincere la sfida del governo del Paese. E quindi rischia di candidarsi solo alla testimonianza. Ci sono momenti in cui serve trovare il coraggio di fare scelte difficili. Votare la fiducia a questo Governo non è stata una scelta facile. Non lo è sul piano politico ma soprattutto su quello personale. Ma ho deciso di fare la scelta più difficile perché penso che sottrarsi oggi alla responsabilità di combattere dentro il perimetro di questa maggioranza sia un errore politico. La fiducia che voterò al governo di Mario Draghi non è comunque incondizionata, dovrà essere verificata giorno per giorno, provvedimento per provvedimento. Ma votarla oggi significa avere voce in capitolo per orientarne le scelte e non limitarsi a commentarle. Lo farò da indipendente nel gruppo parlamentare di Liberi e Uguali.
Guardando soprattutto, ma non solo, al travaglio interno al Partito democratico, non pensa che ci sia sempre più bisogno di un nuovo soggetto politico a sinistra?
Prima di un nuovo soggetto politico, penso che serva un nuovo pensiero politico. Abbiamo bisogno di rielaborare la sconfitta storica che la sinistra ha subito alla fine del secolo scorso e ripensare un modello di società sulla base del quale ricostruire. L’esperienza del governo Conte ci ha confermato che dentro un processo complesso, di rimescolamento anche delle culture politiche, si può determinare un quadro avanzato sul terreno delle politiche sociali, del contrasto alle disuguaglianze e dell’allargamento dei diritti sociali e civili, che mi sembra essere il terreno principale su cui si ricostruisce la sinistra. Oggi sono più interessato a ricostruire l’intero campo progressista più che un nuovo soggetto politico. Quello arriva dopo.
L’ultima domanda la rivolgo al presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. Sulla questione dei diritti umani, nei suoi discorsi parlamentari d’investitura, Draghi è stato alquanto evasivo. Non è che i diritti umani sono stati derubricati dall’agenda del nuovo Governo?
I diritti umani sono il campo di battaglia di questo secolo. Questo sarà il secolo del loro tramonto o della loro riaffermazione. Io penso che l’Italia debba schierarsi dalla parte giusta della Storia. Da questo punto di vista, il presidente Draghi eredita una sfida importante. Ritengo che l’Italia non possa continuare ad immaginare di avere rapporti ordinari, dal punto di vista commerciale e diplomatico, con Paesi come la Turchia, l’Arabia Saudita, l’Egitto che hanno ampiamente dimostrato di non avere alcun rispetto per la cultura dei diritti umani e per le libertà civili. È un tema che ci riguarda, perché se non torniamo ad occuparci di come i diritti umani e la democrazia si sviluppano nel mondo, presto o tardi il problema lo troveremo dentro i nostri confini.
© Riproduzione riservata








