Dalla scarsità all’abbondanza, che non sempre è sinonimo di qualità. In 72 ore, che in politica sono tantissime, il governo Draghi passa dal timore di non avere voti e la prospettiva non felice di partire con un governo di minoranza, allo scenario opposto, un all in a due facce, diverse e ciascuna a suo modo rivoluzionaria nel quadro politico italiano ed europeo. Nel primo caso si potrebbe arrivare addirittura al tutti-dentro esclusi Fratelli d’Italia ancorati all’opposizione più per convenienza elettorale che per convinzione. Nel secondo caso si tratterebbe di un’alleanza ancora più rivoluzionaria di quella Ursula che nel 2019 portò i 5 Stelle all’interno delle grandi famiglie storiche europee.

Al posto dei 5 Stelle, infatti, o insieme ai 5 Stelle ci sarebbe la Lega. Che in Europa è alleata della Le Pen ma in Italia andrebbe a votare Draghi. Si chiama governo di unità nazionale. E l’unica ideologia che conta è salvare il paese. Sono ore frenetiche con continui ribaltamenti e improvvisi ripensamenti. Sarà tutto più chiaro oggi, a fine mattinata, quando prima la Lega e poi il Movimento 5 Stelle siederanno davanti al presidente incaricato per comunicare le rispettive decisioni. La prima delegazione guidata da Matteo Salvini, a tu per tu con l’incarnazione dell’euro e dell’europeismo, incubi – a quanto pare – di un’altra vita. La seconda delegazione guidata dal garante politico del Movimento, quel Beppe Grillo che ha guidato per dieci anni Vaffaday al grido “banche killer”, “finanza assassina” e varianti varie circa “l’odiato establishment”.

È un fatto che la carta Mario Draghi ha fatto “esplodere” il quadro politico parlamentare dopo tre anni di equilibri instabili, quasi volatili, figli della frammentazione dei numeri e di uno “schema nuovo”: europeisti contro antieuropeisti. Adesso si potrebbe rimescolare tutto. E l’Italia diventare un laboratorio inedito per capire dove va la politica. Una pax politica che ha un padre, il presidente Sergio Mattarella: «Chiedo ai partiti e alle forze politiche di andare oltre le tradizionali appartenenze» aveva detto il martedì sera annunciando l’incarico a Draghi. E un agente provocatore, quel Matteo Renzi che ieri, dopo la consultazione con Draghi incontrando i giornalisti ha sollevato per un attimo la mascherina e ha mostrato per un attimo la faccia sorridente per dire: «Io adesso sono rilassato. Italia viva non è più rilevante in una maggioranza larga? Avremo meno ministri? L’unica cosa che conta è che sarà un signore che si chiama Mario Draghi a decidere come spendere i 209 miliardi del Recovery plan. E questa è la migliore polizza assicurativa per il paese, i nostri figli e i nostri nipoti. E ora arrivederci, ci vediamo nel 2023».

Italia viva darà il suo sostegno al governo Draghi senza se e senza ma. Molto probabilmente con la Lega di Salvini e i 5 Stelle di Crimi. Ma anche con la Lega e senza i 5 Stelle. Senza limiti e gabbie ideologiche. Per qualcuno “il grande caos”. Per altri “il governo di salute pubblica” tante volte invocato. Mario Draghi si è confrontato per tutto il giorno a Montecitorio con le varie delegazioni alternandosi tra la sala della Lupa e la biblioteca del Presidente per consentire la sanificazione. Il presidente incaricato, assistito dal dottor Nuvoli caposervizio degli Affari generali della Camera, è stato percepito come “gentile”, “affabile” e “molto attento”. Ha ascoltato più che parlare, ha preso appunti su un bloc notes e con una bic nera, ha accolto le varie delegazioni tenendo davanti a sé il “facciario” dei deputati. Per guardare in faccia, spesso per la prima volta, i componenti dei vari gruppi.

A fine giornata sul bloc notes è rimasto il sì con riserva di Leu («mai alleati con chi ha negato la pandemia ed è stato fino a ieri antieuropeista») che però in serata si è già molto ammorbidito. Il sì senza riserve dei gruppi delle Autonomie, di Italia viva, di Forza Italia, del Pd. Nessuna di queste delegazioni ha sollevato questioni sulla natura dell’alleanza pro Draghi. L’unico No è quello di Fratelli d’Italia. «Non possiamo votare la fiducia a Draghi e ad un governo con dentro Pd e 5 Stelle. La via maestra per noi resta il voto. Daremo comunque una mano senza avere nulla in cambio» ha detto Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia rischia di essere l’unico gruppo all’opposizione.

La scena si sposta quindi su domattina. Su quello che diranno Lega e 5 Stelle. Salvini sta cedendo il passo, ora dopo ora, alla linea Giorgetti e dei governatori, a cominciare da Zaia. Il no di quattro giorni fa è diventato il “vediamo” di tre giorni fa con sempre maggiori aperture («andiamo ad ascoltare quello che ci darà Draghi») fino all’apertura di ieri pomeriggio. Quando ha parlato di “ministri leghisti” e ha negato ipotesi di appoggio esterno. «Noi non facciamo le cose a metà, se ci siamo ci siamo» ha detto. «Siamo pronti a metterci la faccia senza condizioni. Chi sono io per dire io sì e tu no. Noi con Draghi non diremo non voglio tizio». Non è un o un No a prescindere, ma «in questo momento l’interesse del Paese deve venire prima di quello dei partiti. E gli italiani oggi ci chiedono coraggio e serietà». È chiaro che la Lega non potrà autorizzare patrimoniali, aumento di tasse o l’azzeramento di Quota 100. Ma è altresì chiaro che Mario Draghi non comincerà da questi dossier, i più divisivi, la sua operazione di salvataggio dell’Italia.

È un riposizionamento totale di Salvini rispetto al quadro politico. In qualche modo atteso e auspicato da larghe fette dell’elettorato leghista, soprattutto quel nord rimasto spiazzato e deluso dalla svolta statalista e assistenzialista della Lega nei quattordici mesi in cui ha governato con i 5 Stelle. Svolta che Giorgetti, sponsor di Draghi almeno tanto quanto Renzi (e i due si sono molto parlati in questo periodo) ha curato nei vari passaggi fin dall’autunno dopo la sconfitta alle regionali. Sarà invece ancora una notte di travaglio per i 5 Stelle. Beppe Grillo è arrivato a Roma, anche con Casaleggio. Ieri sono stati braccati dai cronisti in tutta la città. Senza successo. Nei momenti topici, il leader torna dai suoi ragazzi. Il Movimento sarà ascoltato per ultimo. E sembrano lontani secoli gli streaming prima con Bersani e poi con Renzi rilanciati dalle stesse stanze dove ora lavora Draghi.

Il Movimento è diviso tra chi dice «andiamo a vedere cosa propone Draghi, siamo un partito di governo e i no a prescindere sono irresponsabili, l’Italia e l’Europa hanno bisogno di noi». E chi insiste, da Di Battista in giù, «mai con Draghi, mai con le banche». In mezzo una schiera di indecisi davanti all’ennesima decisione storica per il Movimento. Se il Movimento dovesse accettare di appoggiare il governo Draghi, al netto anche di una piccola scissione già messa in conto, non sarebbe una sconfitta per chi entrò in Parlamento con la promessa di “aprirlo come una scatoletta di tonno” (cit. Grillo). Ma la crescita responsabile di un Movimento che ha saputo, tra mille difficoltà, riconoscere errori e mettere al bando rigidità.

Draghi farà un secondo giro di consultazioni. A partire da lunedì. Più veloce di questo. Sarà quello il momento delle proposte. E degli indizi sulla formazione della squadra di governo. In ogni caso sarà un governo molto politico. Il governo, questa volta sì, dei migliori. Il modello è quello del governo Ciampi, premier tecnico, ministri politici, fuori all’epoca, le “estremità” di allora, Msi e Prc. Oggi Fratelli d’Italia e qualche piccola frangia grillina o ex grillina. Un governo, quello di Draghi, sostenuto da maggioranze bulgare alla Camera e al Senato. Prendiamo le tre ipotesi. Tutti-dentro tranne Fratelli d’Italia significa un maggioranza di 595 voti alla Camera e 296 al Senato. Tutti dentro tranne Fdi e M5s, segna una maggioranza di 406 alla Camera e 204 al Senato. Anche con un improbabile, a questo punto, passo indietro della Lega che resterebbe fuori con Fdi, la maggioranza sarebbe larga alla Camera (466) e anche al Senato (223). Un autostrada per il governo del Presidente.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.