Bashar al Assad è a un bivio. L’offensiva ribelle che si è abbattuta su Aleppo, che circonda Hama e che punta anche sul sollevamento di altre fazioni in altre aree della Siria rischia di mettere in serio pericolo il futuro del regime. E il sistema, già devastato dalla guerra civile e dalla furia dello Stato islamico, rischia ora di essere vicino al collasso. L’assedio è su più fronti e su più livelli. La guerra infuria a nord-ovest, con l’assalto scatenato da Hayat Tahrir al-Sham e partito dalla roccaforte di Idlib. Ma mentre si combatte per Aleppo e per salvare Hama dall’attacco jihadista, altre zone del Paese sono a rischio di pericolose fiammate. Nel sud, le prime avvisaglie si sono già avvertite quando a Damasco circolavano addirittura voci di un colpo di Stato da parte di alcune forze dell’esercito. Al confine con la Giordania, soprattutto nella zona di Daraa e Suwayda, alcune milizie si sono mosse appena le forze armate hanno annunciato il ritiro da Aleppo. E se a nord a muoversi è soprattutto l’Esercito nazionale siriano (l’armata islamista che nulla a che vedere con le truppe fedeli al regime), è a nord-est ora che Assad vede un altro tipo di problema: quello delle forze curde e alleate dell’Occidente. L’esercito siriano si è già scontrato a Deir Ezzor con le Forze Democratiche Siriane, la coalizione a guida curda composta anche da combattenti arabi. E in quella stessa regione starebbero iniziando a muoversi anche le milizie sciite provenienti dall’Iraq. Una forza che può rivelarsi fondamentale per Assad ma che preoccupa in particolare gli Stati Uniti (presenti nella zona con circa 900 uomini) e anche l’intelligence di Israele.

Il bisogno di aiuto ed Hezbollah al palo 

L’esercito siriano, secondo le informazioni dal fronte, avrebbe respinto l’avanzata arabo-curda a nordest. Ma mentre stenta a far partire la controffensiva contro i ribelli dell’altra parte della Siria, dove gli occhi sono puntati su Hama e Homs, il dubbio riguarda la scelta di campo di Assad. Il leader siriano ha bisogno di aiuto. Mosca bombarda i ribelli, ma vorrebbe evitare problemi con i partner arabi, la Turchia e Israele. Teheran può offrire il suo supporto politico. Ma è soprattutto sul piano militare che Damasco si aspetta il contributo della Repubblica islamica, che però è fiaccata dalle sanzioni e con l’Asse della Resistenza coinvolto nella guerra a Israele. Hezbollah è al palo. Ieri, Kataib Hezbollah, milizia irachena legata a Teheran, ha chiesto al governo di Baghdad di “prendere l’iniziativa viste le minacce alla sicurezza nazionale”.

L’Iraq al momento preferisce non muoversi, ma il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani, discutendo con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, ha affermato che l’Iraq potrebbe non rimanere a guardare. E sono già arrivati i primi rinforzi al confine. Assad sa che non può giocare tutte le sue carte sulla sola alleanza con l’Iran. Ed è per questo che molti iniziano a pensare che il leader siriano potrebbe essere costretto a trattare con gli altri vicini. La Turchia lo ha già fatto capire in modo chiaro. Erdoğan ha nuovamente chiesto a Damasco di avviare un “processo politico” e, parlando con Vladimir Putin al telefono, ha confermato la sua linea: integrità territoriale e “soluzione giusta e duratura”. E il Cremlino potrebbe anche dare il semaforo verde a una normalizzazione se sarà fermata subito l’offensiva ribelle, come richiesto ieri dallo “zar” al “sultano”.

La soluzione di comodo

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno già mosso le loro pedine per far ricredere Assad sul suo posizionamento nella galassia sciita. Israele e Stati Uniti spingono per questa soluzione di comodo, che rappresenterebbe un modo per allontanare Teheran evitando il crollo del regime sotto i colpi di Hayat Tahrir al-Sham e di un leader accusato di terrorismo internazionale. E Assad, per sopravvivere, potrebbe iniziare davvero a pensarci. Con un regime fragile, le sanzioni soffocanti, l’isolamento internazionale e un Paese a maggioranza sunnita, l’alleanza con l’Iran si regge solo su quanto gli ayatollah sono in grado di garantire la vittoria militare all’esercito siriano.