Iran e Russia non hanno dubbi: sostenere Bashar al Assad è un imperativo di entrambi i Paesi. La conferma è arrivata ieri dai vertici delle due potenze, Vladimir Putin e l’omologo iraniano Masoud Pezeshkian, che al telefono hanno ribadito il loro impegno nella controffensiva di Damasco. “Sostegno incondizionato alle azioni delle autorità legittime della Siria” hanno sottolineato dal Cremlino dopo la conversazione. E la prova sul campo è arrivata anche dai bombardieri russi, che hanno continuato i loro raid contro i battaglioni ribelli nella zona di Aleppo, Hama e soprattutto nella provincia di Idlib, santuario di Hayat Tahrir al-Sham e del suo comandante (forse morto), Abu Muhammad al Jolani.

Mosca non può né vuole perdere tempo. Ed è per questo che, oltre alle azioni sul campo di battaglia, ha attivato tutti i canali diplomatici, sia verso l’Iran che verso la Turchia, altro grande protagonista indiretto del grande gioco siriano. Dall’inizio dell’escalation, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha coinvolto il suo omologo turco, Hakan Fidan, per discutere di come frenare la crisi. Ieri, i servizi segreti di Ankara hanno annunciato la morte nel nord della Siria di Yasar Cekik, uno dei leader del Pkk/Ypg. E nelle stesse ore, nella capitale turca è arrivato il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, che ha incontrato Fidan dopo essere stato domenica a Damasco. “La nostra intenzione è di consultarci con i Paesi coinvolti nel processo di Astana (Iran, Russia e Turchia n.d.r.) e altri Stati musulmani” hanno ribadito dalla Repubblica islamica, che davanti a sé ha una sfida esistenziale. L’Asse della Resistenza di Teheran è ferito dalla guerra su più fronti con Israele, in particolare in Libano, e da una pressione internazionale che sta soffocando il suo potere finanziario. Ma per l’Iran non è plausibile una sconfitta in Siria. Pezeshkian lo ha sottolineato anche ieri al telefono con lo stesso Assad. Ieri sono arrivate le prime notizie sull’arruolamento delle forze filoiraniane. E dal confine blindato con l’Iraq, si parla già di alcune centinaia di combattenti che avrebbero fatto il loro ingresso in Siria, anche se i gruppi principali hanno smentito.

Le battaglie proseguono e si fanno ogni giorno più feroci. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha parlato di oltre 500 morti. I caduti sarebbero per metà ribelli e per metà soldati delle forze armate, più decine di civili. Mentre continua la fuga delle persone da Aleppo e dai villaggi conquistati dai ribelli. Un inferno che è il frutto di una partita che riguarda tutto il risiko mediorientale. Assad, parlando con Pezeshkian, ha detto che l’obiettivo di questa crisi è “dividere la regione, frammentare i suoi Paesi” e “ridisegnare la mappa geografica secondo gli interessi dell’America e dell’Occidente”. Nessun mea culpa, dunque, sulle mosse del governo (cosa invece chiesta da Ankara). Ma le posizioni appaiono abbastanza più sfumate di queste dichiarazioni manichee. Assad, debole e in balia dalla Repubblica islamica, anche grazie a Putin è riuscito a frenare gli iraniani che volevano usare la Siria per colpire le forze Usa, rifornire Hezbollah e attaccare anche Israele.

L’Idf ha piena libertà di manovra sui cieli siriani. E i ribelli di Idlib non sono una soluzione ottimale nemmeno per i nemici di Damasco, anche perché sulla loro guida, Al Jolani, pende una taglia degli Stati Uniti da dieci milioni di dollari per terrorismo. Tanto che lo stesso segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha preferito richiamare tutti alla de-escalation e all’attenzione verso i civili e la loro protezione. Anche l’intelligence israeliana ha messo in guardia da facili entusiasmi per la fine del regime del leader alauita. Un crollo repentino e con queste premesse può indebolire l’Iran, certo, elemento che non dispiace allo Stato ebraico. Ma è uno scenario che può anche infiammare tutta la regione, mettendo in crisi i vicini con i profughi e provocando un ingresso in massa in Siria di forze iraniane. E in attesa che oggi si riunisca il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non è un caso che ieri sia uscita l’indiscrezione di colloqui tra Usa ed Emirati Arabi Uniti per rimuovere le sanzioni ad Assad in cambio di un suo abbandono di Teheran. È un tema di cui si parla da tempo nei circuiti mediorientali. E il riavvicinamento tra Siria e Lega Araba è ormai una realtà al pari della volontà di normalizzare i rapporti con Damasco da parte anche dei governi occidentali.