All’inizio della pandemia lo smart working in Italia era una pratica sconosciuta. Ma molti, soprattutto nella pubblica amministrazione, hanno dovuto conoscerla e ora probabilmente resterà anche dopo la fine della pandemia. Molti la odiano, altri la amano, fatto sta che bisognerà dunque regolare il lavoro da remoto per garantire i criteri di “regolarità, continuità ed efficienza” evocati dal ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta lo scorso aprile quando fu cancellato l’obbligo del 50% di lavoro in smart working per i dipendenti pubblici previsto durante l’emergenza.

“Tra un mese per la prima volta ci sarà un vero contratto per il lavoro agile: ci vorrà un pacchetto organizzativo parallelo al lavoro in presenza sul lavoro da remoto”, ha detto il 18 settembre Brunetta dal festival dell’Innovazione. Una bozza di contratto già c’è. Lo scorso 15 settembre l’Aran ha presentato ai sindacati la prima bozza di contratto per il lavoro agile nelle Funzioni centrali (cioè ministeri, agenzie fiscali, enti pubblici non economici) che sarà la base per lo smart working in tutta la Pa.

L’accordo dovrebbe essere individuale, concordate la durata, le giornate di lavoro e il luogo che non potrà essere fuori dai confini nazionali. Per evitare che smart working diventi sinonimo di lavoro h24 si punta a dividere il tempo lavorativo in tre fasce: operatività, contattabilità e inoperabilità, durante quest’ultima il lavoratore avrà diritto alla disconnessione completa.
L’accesso allo smart working non sarà per tutti e dovrà rispettare una serie di requisiti. Dovrà essere solo “per processi e attività di lavoro previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”.

Sarà facilitato per chi si trova in determinate condizioni, come i genitori con figli minori di 3 anni o disabili, o lavoratori con disabilità. Saranno esclusi invece i lavori in turno e quelli che richiedono l’utilizzo di strumentazioni non remotizzabili.

Restano alcuni nodi da sciogliere che preoccupano i sindacati come gli accordi presi singolarmente con i datori di lavoro. C’è anche il problema del green pass che rischia di essere una corsia preferenziale per l’accesso allo smart working per chi non ce l’ha.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.