Non un’operazione nostalgia, non un esercizio della memoria. Rimettere al centro del nostro simbolo il Garofano, proprio quello adottato dal Psi guidato da Craxi dopo la svolta del Midas, è il tentativo (mi rendo conto, coraggioso e persino spregiudicato) di riportare a oggi i valori di una storia che ha reso il Paese più libero, più civile, più moderno. Di quando cioè il Psi, grazie a una generazione di giovani dirigenti quarantenni, risoluti e decisionisti, si presentò come il partito della modernizzazione e della lungimirante emancipazione dal Pci di Berlinguer, divenendo così emblema della stagione florida del riformismo. In quel Garofano si è identificata sempre, dentro e fuori il Psi, tutta la comunità socialista. Un simbolo che in tutto il mondo rappresenta i diritti, il lavoro, le libertà. Il restyling del Garofano non è però frutto di una mera esigenza grafica, ma è sopratutto l’esigenza di una risposta politica urgente. Vogliamo, con questo gesto dirompente, essere valore aggiunto per la sinistra italiana che è uscita indebolita, quasi frantumata, dalle ultime tornate elettorali.

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Siamo consapevoli della deriva illiberale salviniana al cui rischio l’Italia è sottosposta. E siamo consapevoli che il vento contrario non si ferma con le mani ma con un progetto serio e delle proposte che mettano al centro le esigenze delle persone fragili, senza speranza e senza futuro. Non vogliamo una rivendicazione sterile del passato ma mantenere, con orgoglio, il legame con quella storia e tradurne le azioni e i valori. Mettere “a regime” questa decisione significa per noi ripartire dalle prossime sfide elettorali, a cominciare dalle elezioni regionali della Calabria – in balia del fuoco amico interno al centrosinistra – e dell’Emilia Romagna, che assume ogni giorno i contorni della sfida nazionale in cui, nella sostanza, la posta in palio è il governo del Paese. Niente di più sbagliato: il 27 gennaio a governare la storica regione rossa, ultimo baluardo della sinistra italiana, ci saranno Bonaccini o Borgonzoni; non Salvini, non Zingaretti, né Renzi. Ed è un errore, profondo, considerare quelle elezioni un test decisivo per il futuro del Paese. Consegnare quella regione – che oggi è prima per crescita, funzionamento e qualità della sanità e delle infrastrutture – all’incompetenza targata Lega, è quantomai pericoloso. Presentarsi a quei due appuntamenti con nostre liste autonome è la scelta di coraggio che faremo da qui a qualche settimana. Con l’obiettivo di conquistare autonomia, consensi e rimettere al centro la nostra identità.

Sono mesi durissimi per la sinistra italiana e sono ancora più duri – e decisivi – per noi che ci siamo trovati, in un passato non troppo lontano, sull’orlo dell’estinzione. Ma se la piazza ha ancora un senso, il fenomeno innescato dalle 6mila sardine, ormai in tutta Italia, è la rappresentazione plastica di un pezzo di Paese che vuole esserci e che non si rassegna al salvinismo (e all’antisavinismo) in cui siamo piombati, anche per nostra responsabilità. Ed è, sopratutto, da un lato il commissariamento del movimentismo del primo grillismo, quello nato sotto l’insegna del “vaffa”, dall’altro il segnale, per le forze politiche democratiche e riformiste, che quello che non è riuscito a fare il centrosinistra, “risolve” spontaneamente la piazza: essere cioè tra le persone, in carne e ossa.  Nessuno dovrebbe metterci il cappello, ma di sicuro ciascuno dovrebbe provare ad ascoltare – senza le ansie elettorali o del consenso – a tradurre in provvedimenti ciò che quelle folle ci stanno chiedendo, gettando il cuore oltre l’ostacolo: la sinistra deve riconquistare il suo spazio, semplicemente tornando a essere sinistra, difendendo la propria identità ma dialogando al suo interno e mantenendo la bussola della costruzione di un’alleanza per l’Italia. Noi vogliamo rifondare quella sinistra e lo facciamo ripartendo dal Garofano: dietro un’operazione che può apparire vintage e revanscista, ci sono il coraggio della scelta e il tentativo dell’innovazione, perché il socialismo è giovane, molto di più di chi negli anni ha chiesto che su di noi calasse una scandalosa damnatio memoriae. Questa decisione, simbolica e al tempo stesso politica, ha il significato di una scommessa, sapendo che in una partita così decisiva, puntando tutto quello che abbiamo, ci assumiamo anche il rischio di perdere. Non giocarla però, sarebbe colpevole e profondamente irresponsabile..

Enzo Maraio

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