L’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump si è chiuso con un bilancio positivo, almeno sul piano formale. Toni distesi, nessuna dichiarazione sopra le righe, segnali evidenti di rispetto reciproco. Trump ha ribadito le sue posizioni con una prudenza insolita, evitando quelle espressioni colorite che spesso lo hanno caratterizzato. Meloni, dal canto suo, non ha ceduto sulle linee guida europee, confermando il pieno sostegno all’Ucraina. Ma l’appuntamento di Roma, richiesto dalla premier per aprire un confronto diretto tra Unione europea e Stati Uniti, potrebbe rappresentare molto più di un esercizio di buone maniere. Potrebbe, se si ha il coraggio di guardare in faccia le difficoltà attuali e le sfide che attendono l’Occidente.

Il faccia a faccia

Il faccia a faccia tra la premier italiana e il presidente americano – tornato protagonista sulla scena internazionale – apre una riflessione più ampia. Trump appare meno granitico del passato, forse più consapevole delle crepe che si stanno aprendo sia all’interno degli Stati Uniti che tra gli alleati. Le tensioni commerciali, la guerra in Ucraina ancora senza sbocchi e l’instabilità globale stanno ridisegnando gli equilibri, obbligando anche il leader più assertivo a rivedere toni e strategie. Meloni ha colto il momento per lanciare un messaggio netto: l’Occidente, se vuole restare unito e forte, deve cambiare passo. E infatti servono nuove regole. L’Europa non può continuare a essere un alleato subordinato, costretto a seguire le direttive americane senza voce in capitolo. Allo stesso tempo, deve smettere di agire in ordine sparso: serve una politica estera comune, più responsabilità, più maturità.

La questione commerciale

In questo contesto, la questione commerciale è fondamentale. Gli squilibri sono evidenti: gli Stati Uniti acquistano dall’Europa molto più di quanto ricevano in cambio, mentre l’Unione importa dalla Cina beni per oltre 500 miliardi l’anno, esportandone meno della metà. Prima dell’invasione russa, il divario con Mosca era simile: 160 miliardi di importazioni europee contro 83 di esportazioni. Questi numeri non hanno prodotto cooperazione, ma dipendenza. Con quei fondi, le autocrazie finanziano eserciti, propaganda e infiltrazioni nei sistemi democratici. Comprano media, influenzano partiti, costruiscono presenze strategiche. È il paradosso del libero scambio senza regole, che alimenta chi mette in discussione le democrazie stesse.

Un confronto strutturato

Da Roma potrebbe quindi partire qualcosa di più: un confronto strutturato sui pilastri della cooperazione transatlantica. Regolare i commerci, promuovere innovazione congiunta, investire in formazione e Difesa, rafforzare le istituzioni internazionali, dall’Onu in giù. E soprattutto, isolare con determinazione chi usa la forza per sovvertire l’ordine internazionale. Se davvero Trump vuole che l’America torni a guidare l’Occidente, dovrà cambiare linguaggio e prospettiva. L’Europa, a sua volta, dovrà uscire dal ruolo passivo e agire da protagonista. La sfida ora è costruire un equilibrio nuovo, più giusto, più stabile, più forte. È il tempo di farlo.

Raffaele Bonanni

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