Alessandro Barbano scrive su Huffington Post che «nel nostro universo civile il carcere è il luogo dove simbolicamente confiniamo tutto il male del mondo, proprio per non vederlo più. Perciò ci indigniamo se un magistrato di sorveglianza concede a un detenuto devastato dal cancro il diritto di morire a casa. Perciò, ancora, l’intercalare “chiudeteli dentro e gettate la chiave” ricorre come uno stereotipo nel lessico di molti politici e altrettanti cittadini comuni». Perciò, aggiungiamo noi, non ci si scandalizza se la maggior parte dei detenuti vive stipata in celle dove lo spazio vitale è di appena 3 metri quadrati, meno dei 6 in genere calcolati per animali da fattoria quando si tratta di stabilire le dimensioni delle stalle. Il sovraffollamento è tornato a essere un’emergenza dopo la parentesi di alcuni mesi fa quando, per effetto del lockdown, la media della popolazione carceraria in Campania, come nel resto dell’Italia, si era abbassata. Ora le carceri sono tornate a essere contenitori stracolmi di umanità da recludere e ignorare, da allontanare e punire.

Ma a quanti metri quadrati ha diritto un detenuto? In quanti metri possono dirsi garantiti i diritti fondamentali di una persona? E parliamo soprattutto di persone innocenti fino a prova contraria, di persone sottoposte a misure cautelari e in attesa di processo, visto che, statistiche alla mano, almeno un terzo dei detenuti che si trovano nelle carceri italiane è in attesa di giudizio. In quanti metri quadrati, dunque, può essere confinata la vita di un detenuto? Finora lo spazio minimo consentito è stato di 3 metri quadrati, arredi inclusi nella maggioranza dei casi. Vuol dire che in una cella dove si sta in cinque, in otto o in più di dieci persone, ogni recluso può muoversi in sì e no un paio di metri.
Da pochi giorni la Cassazione a Sezioni unite ha rimesso in discussione questi calcoli. Dopo l’udienza del 24 settembre scorso, la Suprema Corte a sezioni unite (presidente Cassano, relatore ed estensore Rocchi) ha firmato un’informazione provvisoria sulla controversa questione relativa al calcolo dello spazio minimo disponibile per ogni detenuto. Di fronte all’incertezza di considerare o meno, nel calcolo dei 3 metri quadrati per ciascun recluso, gli arredi della cella, la Cassazione ha deciso che «nella valutazione dello spazio minimo dei 3 metri quadrati si deve avere riguardo alla superficie che assicura il norma movimento – si legge nel provvedimento dei supremi giudici – e pertanto vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello».

È una decisione destinata a far cambiare gli spazi all’interno delle carceri, a partire da Poggioreale che è il più grande e più affollato istituto di pena del territorio, dove da mesi si è superato il tetto dei 2mila detenuti. Appena saranno depositate le motivazioni della Cassazione a sezioni unite, c’è da aspettarsi una pioggia di ricorsi sugli spazi vitali nelle celle. Ma quanto sarà una battaglia di tutti in nome di diritti e civiltà e quanto una battaglia di pochi? «Il problema è che il carcere è un tema normalmente ignorato ed è tirato fuori solo quando bisogna tirare fuori l’indignazione. Si parla di carcere solo quando uno dal carcere esce, ma non delle condizioni in carcere eppure l’Italia è tra i Paesi più condannati dall’Europa sotto questo aspetto – osserva Elena Cimmino, avvocato penalista e vicepresidente del Carcere Possibile, la onlus della Camera penale di Napoli che si occupa della tutela dei diritti dei detenuti – Non si pretende mai che il carcere funzioni allo stesso modo di come si pretende che funzionino gli ospedali, le scuole, tutte le istituzioni pubbliche».

Per l’avvocato Cimmino bisogna rompere il muro che separa il carcere dal resto del mondo: «Ognuno di noi – aggiunge – si deve sentire chiamato a questa causa, come durante la pandemia ci siamo sentiti in dovere di dare ciascuno un contributo per sostenere gli ospedali. Bisogna avere osmosi con il carcere, imparare a conoscerlo, informarsi. E ben vengano iniziative come quelle dell’Osservatorio Carcere che ha organizzato visite di cittadini nelle prigioni». L’obiettivo è creare ponti per collegare i due mondi. Non è solo garantismo, è civiltà.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).