La relazione
Celle zeppe ma in 17 mila con meno di 2 anni da scontare
Le 408 pagine della Relazione al Parlamento 2020 da parte del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale sono un richiamo alla “urgenza di vedere, visitare” quei luoghi di solitudine, di marginalità, di confine tra i buoni e i cattivi, tra i fortunati e gli sfortunati, tra i sani e i vulnerabili. Era stato Piero Calamandrei, ricorda il presidente Mauro Palma, a dire “bisogna aver visto” per parlare di carcere ma anche per “affermare in concreto quell’altrettanto imperioso riconoscimento di tutti allo stesso corpo sociale che nessun muro mentale o materiale può far venire bene”.
E allora addentriamoci nella relazione esposta dal collegio del Garante – Mauro Palma, Daniela De Robert, Emilia Rossi – alla presenza della presidente della Corte Costituzionale, della vice presidente del Senato, della ministra dell’interno e del ministro della Giustizia. Innanzitutto la relazione è stata illustrata nella giornata internazionale della lotta contro la tortura. A conoscenza del Garante nazionale, tre Procure di Italia – Napoli, Siena, Torino – hanno aperto ognuna un procedimento penale ravvisando il delitto di tortura in atti di violenza e di minaccia compiuti da operatori della polizia penitenziaria nei confronti di persone detenute.
Il Garante nazionale ha ribadito che «il contrasto di ogni percezione di impunità che può maturare nelle comunità chiuse del carcere o negli altri luoghi in cui si eserciti il potere repressivo dello Stato e l’isolamento degli episodi illeciti, sono il corollario necessario, anche sul piano culturale, del riconoscimento del valore del servizio di vigilanza e di cura esercitato da tutte le forze di polizia del Paese». Rimanendo sempre in ambito penale è da rilevare che «attualmente, vi sono 867 persone detenute che scontano una pena inferiore a un anno e 2.274 una pena compresa tra uno e due anni (parliamo di pena inflitta e non di un residuo di pena maggiore). Così come vi sono 13.661 persone detenute che hanno un residuo di pena inferiore a due anni. Situazioni che pongono interrogativi circa il loro mancato accesso a misure alternative e che fanno emergere una dimensione “classista” del sistema ordinamentale».
A questi numeri occorre purtroppo aggiungere quelli relativi ai suicidi: 25 dall’inizio dell’anno che, seppur in una visione parziale, sono superiori all’anno scorso. Un dato grave è che dei 55 detenuti che si sono suicidati nel 2019, ben 20 erano ancora in attesa di primo giudizio. In merito al sovraffollamento, grazie alle novità legislative introdotte, al 29 febbraio 2020 le persone detenute erano 61230 e sono scese al 23 giugno a 53.527. La capienza regolamentare è tuttavia di 50472 posti.
Per quanto concerne invece l’ambito della privazione della libertà delle persone migranti «nel 2019 il numero delle persone trattenute in un Cpr è aumentato di 2.080 unità rispetto all’anno precedente e, fatta eccezione per Trapani e Roma-Ponte Galeria, è cresciuto anche significativamente il tempo di permanenza media delle persone all’interno dei Cpr».
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