Abbiamo intervistato Mauro Palma, Presidente del Collegio del Garante nazionale delle persone private della libertà, a margine della presentazione della Relazione al Parlamento 2020.

Dottor Palma uno dei punti evidenziati nella relazione è il concetto di “speranza”.
Quando tempo fa è uscito il libro Il diritto alla speranza. L’ergastolo nel diritto penale costituzionale , di cui ho curato la prefazione, ho notato che la Cedu utilizzava l’espressione “diritto alla speranza” a differenza delle nostre sentenze nazionali. Con soddisfazione in una recente sentenza della Cassazione ho trovato ribadito questo concetto: l’uomo non coincide con la fotografia del reato commesso, altrimenti la finalità costituzionale della pena che deve tendere alla rieducazione sociale del condannato verrebbe meno.

Mi collego a ciò che ha aggiunto dopo: «Si va in carcere perché puniti e non per essere puniti».
Il contenuto della pena è privare della libertà: non si può creare uno spazio per dare al detenuto ulteriori afflizioni. Io, che pure difendo tutte le forme che evitano le connessioni con le organizzazioni criminali – penso al 41bis -, credo che tutto ciò che è afflizione aggiuntiva non abbia alcuna legittimità.

A tal proposito mi riallaccio alle recenti polemiche sul regime di Alta sicurezza: per Gratteri ad esempio le celle aperte dell’alta sicurezza sono state all’origine delle rivolte.
Tutto ciò che collega meccanismi di apertura con rivolte o con aggressioni è un modo mistificatorio di presentare la realtà. Le regole penitenziarie europee adottate dai Governi chiariscono che una persona, qualunque sia il regime di detenzione, deve stare almeno 8 ore fuori dalla cella. Grave errore fanno quegli istituti in cui stare fuori dalla cella equivale a ciondolare nei corridoi. Il messaggio non deve essere “rinchiudeteli” ma “impegnatevi a proporre attività culturali e lavorative”. Voglio specificare un aspetto.

Prego
Questo continuare a parlare sempre e soltanto dell’Alta sicurezza e del 41bis, cioè di meno di 10000 persone, rischia gravemente di modulare tutto il carcere intorno a quelle modalità di reclusione.

Forse sarebbe accaduto con Nino Di Matteo a capo del Dap, visto che riteneva di meritare quel posto per la sua lotta contro la mafia.
Non si hanno mai ruoli-contro, quando si è giudice o si esercita un potere amministrativo delle pene. Non si può essere una persona-contro ma una persona-per: per la legalità, la sicurezza, la costituzionalità, i diritti delle persone che ha in carico. Non conosco nessun programma di Di Matteo che sia andato al di là degli slogan televisivi e quindi che posso giudicare. È troppo facile riassumere tutto in una boutade televisiva.

Tornando al tema della speranza, essa viene a mancare se il numero degli ergastolani ostativi è di 1.258.
L’ostatività è un termine che non mi piace affatto perché uccide la speranza. Bisogna in qualche modo, come ha fatto la Corte Costituzionale in una recente sentenza – e spero che prosegua su questa linea – abolire quella connessione tra rimozione dell’ostatività e funzione di collaborazione attiva all’inchiesta.

Sono stati 13 i detenuti morti durante le rivolte. Lei ha parlato di «evento tragico che è stato rapidamente archiviato, quasi come effetto collaterale delle rivolte».
Nel nostro Paese non si avevano così tanti morti da decenni per le rivolte. Il nodo della discussione si è concentrato su di esse e su chi le abbia organizzate ma non sul fatto che 13 vite si sono consumate. Ho nominato un perito legale: non ho motivi per supporre che la causa di morte sia dissimile dall’abuso di farmaci. Ma non è un evento normale l’assalto ai farmaci, non si può archiviare.

Mi ha colpito quando ha posto l’accento sul dover «far evolvere quella che viene definita frettolosamente “pubblica opinione” e che rappresenta spesso la motivazione per un agire politico che non si pone il problema della crescita culturale e civile, ma solo quello dell’adesione preventiva al presunto consenso». La sua è anche una critica ai decreti “emergenziali” presi dal Governo dopo diverse “scarcerazioni”?
In tema di penalità sono contrario a tutti i decreti emergenziali, soprattutto se di aggravamento.La penalità non può essere la risposta al sentimento popolare. Occorre avere nervi saldi. Rispetto ai decreti per bloccare le “scarcerazioni” se andiamo a ricostruire l’iter mi sembra che ci troviamo dinanzi al classico esempio in cui si è partiti da cose strillate, questioni di opinione pubblica che in qualche trasmissione televisiva debordavano fino ad arrivare a dei provvedimenti frettolosi. Queste situazioni non sono state collocate all’interno di quel momento che era di grande sviluppo del contagio, per cui era giusto che si pensasse che le persone che potevano essere a rischio dovessero essere considerate con una particolare attenzione. A prendere le decisioni è stata la magistratura o vogliamo pensare che si sono messe d’accordo tutte le corti in una specie di disegno di trattativa? Siamo alla fantapolitica! È chiaro che i magistrati hanno preso delle decisioni anche sulla spinta della diffusione del virus. Passata l’emergenza quelle decisioni potevano essere riviste ma non c’era bisogno che qualcuno con un decreto imponesse loro di rivederle. Avrebbero fatto da soli.

Ha toccato anche il tema dei decreti sicurezza: «Il Mediterraneo rischia tuttora di rimanere teatro di violazioni» ha detto.
Quando ad una nave che ha salvato delle persone viene negata la possibilità di entrare nei confini, altrimenti ci sono sanzioni altissime, non si distingue tra questa e una nave commerciale; se si considera il salvataggio di una ong come una azione di una realtà non inoffensiva si disincentiva la possibilità di salvataggio in mare. E così si ha una responsabilità sul maggior numero di morti.

I numeri 2019 mostrano la discrasia tra quante persone sono state ristrette nei cpr e quante effettivamente rimpatriate.
La direttiva europea per i rimpatri dice che una persona che deve essere forzatamente rimpatriata può essere privata della libertà. Però aggiunge che se non c’è previsione del rimpatrio quella privazione della libertà non ha più un elemento legittimante. Allora per quel 51% di persone non rimpatriate come giustifichiamo la privazione della libertà? Durante l’emergenza covid non c’erano voli disponibili: qual era il senso della privazione della libertà finalizzata al rimpatrio se il rimpatrio non sarebbe potuto avvenire?