Questo il retroscena umano che spiega perché un perfetto sconosciuto ritenendomi con una buona dose di arroganza parte di un clan, provò l’impulso di raccontare il retroscena di Tangentopoli, quando ancora il nome non era stato inventato. Nel 1980 Franco Evangelisti e Tonino Tatò erano i plenipotenziari e portavoce rispettivamente di Giulio Andreotti e di Enrico Berlinguer nell’estenuante tessitura di quel che restava del compromesso storico dopo l’assassinio di Aldo Moro avvenuto due anni prima. Il loro capolinea, interlocutore e mentore era Eugenio Scalfari direttore di Repubblica che si considerava (ed era considerato) il coordinatore fra i due.

Dietro la parete di plastica dell’ufficio di Scalfari al quarto piano di piazza Indipendenza, c’era il gabbiotto dei grafici con i loro righelli e piani da disegno. Eugenio, due o tre volte al giorno si rivolgeva alle segretarie con una richiesta con voce tonante, ritmata e involontariamente musicale: «Chiamà-temì-Tatò». Con Giorgio Forattini e gli altri grafici avevamo formato una orchestrina di percussioni con righelli, su cui creavamo una mini-jazz session su quel “chiamà-temì-tatò”. A quell’epoca, il direttore dell’Espresso Livio Zanetti (che remava contro il progetto di compromesso storico sostenuto da Scalfari) pubblicò alcuni assegni Italcasse che coinvolgevano Evangelisti, il quale – preoccupato – si rivolse a Scalfari per chiedere di spiegare in termini generici e rassicuranti la storia di quegli assegni. Scalfari chiamò me e mi affidò l’intervista.

Quando arrivai al palazzo del ministero, Franco Evangelisti, che non conoscevo, mi venne incontro pronunciando parole suicide: «A Guzzà, lo sai che tuo padre è grande amico di Giulio, vero? Vieni che adesso ti spiego come funziona il sistema in cui tutti quanti violiamo la legge, rubiamo e finanziamo i partiti». E raccontò in particolare delle visite di Franco Caltagirone, imprenditore, che visitava, secondo Evangelisti, le segreterie dei partiti con il libretto degli assegni aperto: «Che te serve? Cinquanta? Trenta? Tu, dimme soltanto quanto te serve. A Fra’, che te serve?».
Poi disse: «Ecco, adesso facciamo l’intervista. Tu mi chiedi di questi assegni e io ti rispondo che effettivamente esiste un problema di trasparenza che chiede di essere regolato… insomma, fai tu, tanto hai capito, no?».

Scrissi tutto e consegnai il pezzo senza enfatizzarlo. Temevo che potesse essere considerato inopportuno e fu pubblicato in basso in seconda pagina in una posizione innocua con un titolo generico. Il giorno dopo tutti lessero e scoppiò lo scandalo. Scalfari non ebbe dubbi e premiò lo scoop contro gli interessi politici, sicché ne seguì una settimana di festa grande per il giornale. Evangelisti fu costretto a dimettersi da Andreotti che gli dette dell’imbecille. E poi, quando cercai di proporre un’inchiesta su come i partiti e i politici si riempiono il portafoglio, fui amabilmente stoppato, trattato come un piccolo ingenuo che non capisce le cose più grandi di lui. Il sistema era perfetto così, non si tocca. L’ora di Tangentopoli e delle Procure eroiche e dei pool doveva ancora venire. I giornalisti manettari ciucciavano forse ancora il biberon e nessuno fiatò.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.