Per l’incendio nel centro migranti di Ciudad Juárez, nel nord del Messico, nei pressi del confine con gli Stati Uniti, in cui erano morti 39 migranti è stata aperta un’indagine per omicidio. Ad aprire il fascicolo la procuratrice Sara Irena Herrerías Guerra. A riprendere l’accaduto un video in cui si vedono degli agenti bloccare le uscite dopo lo scoppio dell’incendio all’interno della struttura: immagini che potrebbero inchiodare i responsabili della strage.

L’incendio si è verificato tra lunedì e martedì nel centro di detenzione per migranti. 39 morti, 29 tra ustionati gravi e feriti. I migranti arrivavano tutti dall’America Centrale e Meridionale: 28 erano guatemaltechi, 13 onduregni, alcuni venezuelani. All’interno della struttura si trovavano in tutto 68 detenuti uomini, la maggior parte di questi fermati dalle autorità mentre cercavano di attraversare il confine tra Ciudad Juárez e la città di El Paso, negli Stati Uniti. Otto gli indagati, tra cui due guardie di sicurezza private, due agenti federali, un funzionario dello Stato messicano di Chihuahua. Le indagini dovranno accertare se nell’incendio abbiano responsabilità le autorità competenti della gestione del centro e se gli agenti abbiano lasciato la struttura mentre le fiamme divoravano l’edificio senza liberare i migranti imprigionati dentro celle simili a quelle di un carcere.

Le immagini del video che sembrano inchiodare gli agenti alla loro responsabilità sono veritiere, ha confermato il ministro dell’Interno Adan Augusto Lopez. Il video dura circa mezzo minuto. Si vedono almeno due agenti bloccare le uscite dopo lo scoppio dell’incendio all’interno della struttura. Da una cella fuoriescono le fiamme, un fumo sempre più grigio e denso, un uomo all’interno prende a calci un cancello che sembra essere chiuso a chiave. Si vedono invece gli agenti che dall’altra parte delle sbarre si allontanano, in fretta, e danno le spalle ai migranti.

 

I secondini sono dipendenti dell’Inm, Istituto nazionale delle migrazioni (Inm) della città che si trova a pochi chilometri di distanza dalla texana El Paso. Le riprese diffuse dai social sono state rilanciate da diversi siti di informazione locale tra cui El Universal. Hanno fatto il giro del mondo. Il video ha smentito le parole del presidente Andrés Manuel López Obrador che inizialmente aveva dichiarato che i migranti non erano riusciti a scappare a causa dei materassi collocati a ridosso dell’uscita delle celle e che avrebbero impedito loro di fuggire e di salvarsi.

Sconosciute le cause dell’incendio. Secondo alcune versioni sarebbero stati gli stessi migranti ad appiccare le fiamme, in segno di protesta contro il loro prossimo rimpatrio, da dietro le sbarre. “Presumiamo che, dopo aver scoperto che sarebbero stati rimpatriati, abbiano deciso di spingere i materassi del rifugio contro la porta e dar loro fuoco per protesta, senza immaginare che avrebbero così causato questo terribile incidente”, aveva detto il Presidente. Le fonti non concordano. La tragedia, tutta da chiarire, è già una delle più gravi che si è verificata in Messico negli ultimi anni e al confine trafficatissimo con gli Stati Uniti. Da tempo gli attivisti segnalano le pessime condizioni dei centri di detenzione di raccolta migranti.

Il segretario generale delle Nazioni Unite (ONU) Antonio Guterres ha chiesto un’indagine approfondita. Secondo un rapporto della Commissione messicana per i diritti umani (CNDH), nel 2019 c’erano 53 centri di detenzione dell’INM in tutto il Messico, con una capacità totale ufficiale di circa 3.000 persone. Ciudad Juárez è una delle città dove i migranti si radunano nella speranza di poter attraversare illegalmente il confine.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.