Un voto pieno di indizi sullo stato di salute del governo. Ieri mattina la Giunta per le autorizzazioni del Senato ha votato contro il processo all’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini che nell’agosto 2019, nel pieno di una incredibile crisi di governo, tenne in mare 111 naufraghi salvati in mare dalla Ong spagnola Open Arms. Tredici i voti contrari (5 Lega, 4 Fi, 1 Fdi, 1 ex M5s Giarrusso, 1 M5s Riccardi e Durnwalder delle Autonomie). I sette voti a favore del processo sono arrivati da 4 senatori M5s, 1 del Pd, 1 Leu e il Misto ex M5s Gregorio De Falco. Non hanno partecipato al voto i tre senatori di Italia viva. Non è un voto decisivo perché la parola ultima spetta all’aula che dovrà pronunciarsi entro un mese. È un fatto che ieri in Giunta i rapporti di forza si sono ribaltati e la maggioranza è uscita sconfitta. Cosa che sarebbe successa ugualmente se i tre senatori di Iv avessero partecipato al voto.

Il primo indizio, che è una conferma, è che nulla può mai essere considerato certo al Senato. Quello sulla nave Open Arms è il terzo voto parlamentare sulle conseguenze dei decreti Salvini che nei fatti hanno chiuso i porti alle navi delle Ong. Se nel caso della Diciotti (agosto 2018) e poi della Gregoretti (luglio 2019), entrambi navi militari italiane, il problema della “legge di bandiera” non si è posto, nel caso della Open arms è stata la prima discriminante a favore dell’ex ministro dell’Interno. Ovverosia, poiché la nave batte bandiera spagnola e la Spagna aveva indicato un porto sicuro (Algeciras), la Open arms doveva subito fare rotta là senza piazzarsi davanti al porto italiano e contribuire, con questa scelta, a peggiorare le condizioni fisiche e sanitarie dei naufraghi e di tutto l’equipaggio. Il presidente della Giunta Maurizio Gasparri (Fi) incassa a mani basse il risultato. Dalla sua istruttoria emerge che «l’allora ministro dell’Interno ha perseguito il preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo»; il carteggio, lo scambio di mail, tra Salvini e il presidente Conte «rende evidente la condivisione implicita di quelle scelte da parte del governo». Sul merito dei fatti la Giunta non ha alcuna giurisdizione. E alla fine «è prevalsa una valutazione di ordine giuridico».

Quello che Gasparri non può dire è che quello sulla Open Arms è stato un voto molto politico. E, appunto, pieno di indizi. La maggioranza ha le febbre. Il Movimento 5 Stelle conferma la sua ambiguità: al governo con la Lega difese Salvini; in maggioranza con il Pd, cerca di affondare per via giudiziaria l’ex ministro Salvini. Questa volta hanno votato contro il processo, in dissenso dal gruppo, la 5 Stelle Alessandra Riccardi perchè «anche questo caso risponde ad un’azione di governo che ho condiviso allora e non cambio adesso». Il Movimento ha fatto sapere di non voler avviare azioni disciplinari. Smentisce cambi di casacca anche il pirotecnico senatore Mario Giarrusso, già dato con un piede dentro la Lega. Espulso circa un mese fa dal Movimento per motivi di soldi, ha spiegato di “sentirsi 5 Stelle al cento per cento” e di aver votato “in coerenza e continuità con il voto sulla Diciotti e la piattaforma Rousseau”. Se qualcuno ha cambiato idea, questo qualcuno è il Movimento. “Io difendo le idee non le poltrone” ha detto Giarrusso.

Indizi importanti anche in Italia viva. Non ha partecipato al voto. In aula vedrà. Per la Gregoretti decise che in ogni caso “un senatore deve accettare il processo e non fuggirlo”. I renziani certo non sopportano “il vizio del panpenalismo” per cui le divergenze si risolvono in tribunale e gli avversari politici si fanno fuori con una bella inchiesta. In realtà Iv non ha voluto regalare il solito facile palcoscenico a Salvini. Una volta in aula deciderà come far valere i suoi 17 senatori. E poi Italia viva ha un dubbio: “Sicuri che il governo non c’entra nulla?” ’, una pallottola in più a disposizione. Per reclamare. Magari, la pretesa agibilità nel governo di coalizione. Insomma, se Conte tira la riga non può stare tranquillo.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.