L’accordo tra Hamas e Israele avrà piena attuazione. E su questo la Casa Bianca non sembra transigere. Ma gli Stati Uniti sanno benissimo che il patto mediato insieme a Egitto e Qatar è tutto meno che di facile attuazione. Le due parti contraenti non si fidano l’una dell’altra. Le divergenze sulla seconda e la terza fase rimangono ancora molte. Benjamin Netanyahu deve gestire una maggioranza sempre meno coesa, in cui l’ultradestra ha già alzato i toni costringendo il primo ministro a guardare all’opposizione per avere i voti necessari per far passare l’accordo. E molti credono che il cessate il fuoco potrebbe non diventare mai definitivo, lasciando la Striscia di Gaza, Israele e l’intero Medio Oriente in un limbo senza fine.

La ricostruzione

La partita è difficile e si è vista anche dalle 24 ore successive all’annuncio dato a Doha. Per tutta la giornata di ieri, i funzionari israeliani hanno raccomandato prudenza, dicendo che c’erano ancora dettagli da definire. Il portavoce alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, aveva sottolineato che l’amministrazione Biden era consapevole delle preoccupazioni israeliane. “Siamo fiduciosi che saremo in grado di risolvere questi problemi dell’ultimo minuto e di far muovere le cose”, ha spiegato Kirby alla Nbc, ribadendo che l’accordo deve essere approvato dal governo israeliano e ricordando che “più e più volte, Hamas ha continuato a creare ostacoli e non era disposta a negoziare in buona fede”. E solo nella serata di ieri sono arrivate le prime indiscrezioni sul fatto che Israele e Hamas, attraverso i mediatori internazionali siano riusciti a raggiungere di nuovo l’intesa sugli ultimi nodi irrisolti. Anche una fonte dell’organizzazione palestinese ha confermato che avrebbero firmato in serata. E le questioni, per il giornalista di Axios, Barak Ravid, riguardavano soprattutto i detenuti richiesti da Hamas come prezzo per il rilascio degli ostaggi. Un tema dirimente, al punto che ieri mattina l’ufficio del premier israeliano aveva detto che Hamas stava “cercando di rinnegare l’accordo” perché voleva “dettare i nomi dei detenuti palestinesi” e la squadra negoziale aveva ricevuto ordine di rifiutare ogni proposta.

Alta tensione

La tensione è possibile che rimanga alta fino a domenica, quando scatterà ufficialmente l’accordo e saranno rilasciati i primi tre ostaggi (probabilmente tre donne). Ma le sfide sono molte. La prima è certamente quello che si combatte tra Hamas ed esercito israeliano, che in queste ore continuano a combattere. Ieri, l’esercito israeliano ha annunciato di aver colpito dalla sera precedente “50 obiettivi” nella Striscia, tra cui Muhammad Hasham Zahedi Abu Al-Rus, un uomo della Nukhba, la forza d’élite di Hamas, che aveva preso parte alla strage del Nova Music Festival durante l’attacco del 7 ottobre. L’Idf ha detto di avere colpito terroristi, depositi di armi, basi sia di Hamas che del Jihad islamico palestinese. Ma per le autorità di Gaza, i morti degli ultimi raid nella Striscia sono stati 81, e secondo le Brigate Qassam, il braccio militare di Hamas, i bombardamenti israeliani potrebbero mettere a rischio la vita degli stessi ostaggi pronti a essere liberati. Un avvertimento che ha l’inevitabile suono della minaccia. E non a caso ieri Abu Obeida, il portavoce delle Brigate, ha dichiarato che le forze armate israeliane avevano preso di mira” un luogo in cui si trovava una delle prigioniere della prima fase dell’accordo”.

L’ipotesi escalation e l’altro duello di Netanyahu

Il segretario di Stato americano, Anthony Blinken, ha cercato di stemperare la tensione dicendo che è fisiologico che gli scontri proseguano finché non scatterà l’inizio del cessate il fuoco. Ma non è da escludere che la resa dei conti possa condurre a un’escalation in tutta la Striscia.
Nel frattempo, Netanyahu combatte un altro duello. Quello interno. Perché il braccio di ferro con gli alleati è molto complesso. Il partito del ministro della Finanze Bezalel Smotrich, Sionismo Religioso, ha definito l’accordo “cattivo e pericoloso” chiedendo che assicurazioni sul fatto che Israele riprenda la guerra “immediatamente dopo la conclusione della prima fase dell’intesa”. Dall’altro lato, secondo una fonte di radio Kan, il premier avrebbe chiesto al suo alleato “un impegno esplicito a non ritirarsi dal governo”. La destra ha avviato le proteste già nelle prime ore di giovedì. Il ministro per gli Affari della Diaspora, Amichai Chikli, ha promesso di dimettersi dal governo se Israele si ritirerà dal Corridoio di Filadelfia, lungo il confine tra Gaza ed Egitto, E oggi è attesa una riunione del governo che sarà decisiva su tutti i fronti.