Dal gelo dell’Iowa agli sconfinati boschi e foreste del New Hampshire, continua il viaggio delle primarie Repubblicane. Cambia il clima, ma non il risultato: Donald Trump vince, gli altri rincorrono. L’altra, ormai. A due giorni dal voto nel “Granite State” si è infatti ritirato Ron De Santis, la cui campagna era per altro anche a corto di risorse economiche da settimane, lasciando Nikki Haley come unica sfidante dell’ex-Presidente. Lo schema di gioco a cui lei ambiva fin dall’inizio nonché l’unico con cui potesse, secondo i suoi consiglieri, avere una speranza. Il secondo posto mancato per un soffio in Iowa aveva in realtà già chiarito quasi del tutto quanto Trump sia inscalfibile in queste primarie, ma se proprio poteva esistere un’ultima chance per la Haley, quella possibilità passava dal New Hampshire. Uno Stato su cui la sua campagna ha investito tantissimo: più di 30 milioni di dollari, migliaia di volontari e un patto di ferro con il popolare Governatore dello Stato, il conservatore moderato Chris Sununu, che ha girato in lungo e in largo lo Stato negli ultimi due mesi sempre in compagnia di Nikki Haley. Vincere in New Hampshire era a questo punto un imperativo categorico.

Gli indipendenti

Così non è stato e Trump è arrivato davanti di quasi 12 punti, conquistando il 54.5% e ottenendo 12 delegati. Nikki Haley si è fermata al 43.3%, portando a casa 9 delegati. Una vittoria non a valanga come in Iowa ma comunque chiara, che va letta tenendo anche conto della forte affluenza alle urne di elettori non Repubblicani. In New Hampshire infatti hanno potuto votare alle primarie GOP i cittadini registrati al Partito Repubblicano ma anche i cittadini non registrati a nessun partito, i cosiddetti “indipendenti”. Ed è proprio tra loro che Haley ha avuto il consenso maggiore, riducendo così il suo gap da Trump. Limitando il risultato ai soli militanti GOP, Trump avrebbe quindi anche qui vinto con un plebiscito. Tradotto, la sua presa sulla base repubblicana è pressoché totale. Ma l’altra faccia di questa medaglia è che il forte consenso di Haley tra gli indipendenti può essere un campanello d’allarme per Donald Trump in ottica di novembre.

Tra primarie ed elezioni

Le primarie repubblicane si vincono con i repubblicani, ma per le elezioni il consenso tra gli indipendenti può risultare decisivo. Se sul primo campo di gioco è ormai chiaro come la partita non sia mai esistita, sul secondo rimane il dubbio della capacità di Trump di generare consenso tra gli indipendenti moderati. Una platea su cui, va detto, anche Joe Biden sembra incontrare tutto meno che grande favore. La sfida per Donald Trump in queste primarie non è mai stata sul prevalere alle primarie, fatto scontato. Ma sul preparare una mobilitazione di elettori repubblicani che gli consenta di superare le resistenze che ha tra indipendenti e centristi. Intanto Nikki Haley ha scelto per ora di rimanere in campo per continuare a cavalcare queste primarie come opportunità di visibilità mediatica.

Il verdetto del New Hampshire

Ma non è una scelta che può andare avanti a lungo. Ora arrivano il Nevada, l’8 febbraio, e poi la South Carolina, il 24 febbraio. Due Stati in cui Trump viaggia su vantaggi nettissimi. Con la South Carolina che è proprio lo Stato dove lei è stata Governatrice e dove vive. Una umiliazione lì sarebbe un duro colpo non solo politico ma anche di immagine personale. Ritirarsi prima, giocandosi subito la carta di un sostegno a Trump, per puntare ad un ruolo in una sua possibile Amministrazione? O resistere il più possibile, magari addirittura fino a ridosso della convention di luglio, continuando a marcare il terreno di “anti-Trump”, scommettendo su una sconfitta dell’ex-Presidente a novembre per poi rilanciarsi in una corsa nel 2028? Sono queste, di fatto, le opzioni in campo per Nikki. Intanto, possiamo senza troppi giri di parole dire che il New Hampshire ha sancito in modo definitivo il candidato Repubblicano alla Casa Bianca. Rimane l’attesa sul fronte Democrat, tra voci di inevitabile conferma per Joe Biden e ipotesi di una sostituzione in corsa, con lo spettro di Michelle Obama che più o meno velatamente viene agitato tra donors e dirigenti. Ora come ora, il re-match del 2020 rimane l’ipotesi più plausibile.

Ludovico Seppilli

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