La lezione della crisi finanziaria del 2008 non è stata una buona maestra per i governanti americani. Il crollo dei mercati legato ai mutui subprime ha insegnato che non esistono istituzioni “too big to fail”, troppo grandi per fallire. Allora toccò ad un serie di banche, tra cui Lehman Brothers. Poi fu la volta dei debiti sovrani europei con la crisi dei Piigs, Portagallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. Nel mirino adesso è finito il debito pubblico degli Stati Uniti. Nulla di grave né tantomeno l’inizio di un periodo nero. Il segnale, però, è estremamente chiaro: i mercati finanziari possono colpire anche Washington.

Treasury Bond

Nella serata di venerdì 16 maggio, l’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito americano portandolo da “AAA” ad un gradino più basso, “AA1”. Secondo gli analisti, gli Stati Uniti scontano un enorme debito pubblico, che viaggia oramai verso quota 36mila miliardi di dollari, un deficit annuo difficilmente sostenibile pari a oltre 2mila miliardi di dollari. La cosa che più preoccupa, però, è che un terzo delle entrate americane sono necessarie per coprire l’ammontare di interessi che l’Amministrazione a stelle e strisce paga per potersi indebitare. Si tratta di una cifra vicina a 1.200 miliardi di dollari ogni anno.

A far aumentare le preoccupazioni, poi, è il programma del Presidente Trump di un cospicuo taglio di imposte per le corporation e i ricchi: mille miliardi di dollari di cui non si intravedono le coperture. Il risultato è stato il taglio dell’affidabilità del debito americano ma soprattutto il rendimento del Treasury Bond a trent’anni che ha superato la soglia del 5 per cento. I Treasury bond sono i titoli di Stato emessi dal governo Usa. Era già successo l’indomani del “Liberation day” proclamato da The Donald, cioè dopo l’annuncio dei dazi statunitensi contro mezzo mondo. La cosa che preoccupa adesso è che il 5 per cento, unità in più o meno, sembra essere la quotazione stabile per il trentennale.

Conseguenze

Conseguenza immediata è l’aumento del costo del debito per la Casa Bianca. Senza contare un generale indebolimento del dollaro dovuto più alla politica economica di Trump che ai problemi di cassa degli Usa. Senza contare che molti investitori americani solo alla ricerca di mercati più sicuri come quelli europei o dell’estremo oriente. Non bisogna dimenticare un altro dettaglio fondamentale. Come ha fatto rilevare il ministro dell’Economia del Giappone, Katsunobu Kato, il Sol Levante è pronto a “disfarsi” del debito americano se non si trova una soluzione alla “guerra” dei dazi. Tokyo, infatti, detiene oltre mille miliardi di dollari di debito pubblico Usa proprio come il suo grande vicino, la Cina. Certo, vendere i Treasury bond prima della loro naturale scadenza sarebbe una perdita per il governo giapponese ma a mali estremi, estremi rimedi. Quindi il debito USA è soggetto a pericolose speculazioni le cui conseguenze non sarebbero certo tranquille.

Le Borse europee hanno accolto con relativa calma ciò che sta succedendo oltre oceano. Il generale andamento negativo dei listini del vecchio Continente, secondo molti analisti, è dovuto più allo stacco delle cedole delle grandi aziende e alle nuove scaramucce sui dazi questa volta da parte della Cina che alla situazione del debito a stelle e strisce. L’Italia è alla finestra. Il calo dello spread sui titoli di Stato del Belpaese indica che gli investitori internazionali preferiscono i nostri Btp mentre crescono i rendimenti di Bund. Una volta tanto, non è l’Italia sulla lavagna dei cattivi.

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