Con 325 voti a favore e 184 contrari il Parlamento turco riunito in seduta straordinaria ha dato ieri il via libera al sostegno militare al Governo d’accordo nazionale libico (Gna) di Fayez Al-Sarraj riconosciuto dall’Onu.  La risoluzione prevede la possibilità di schierare forze da combattimento in Libia, ma la decisione sulla tempistica della missione, sulle sue dimensioni, sui reparti militare da impiegare e sulle regole di ingaggio è nelle mani del presidente Erdoğan, in coordinamento col Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore turco. La mozione infatti parla di un generico sostegno militare lasciando aperta la possibilità anche di un intervento su larga scala.

Il presidente turco ha voluto che gli fosse conferito questo mandato con tempestività perché vuole presentarsi all’incontro con Putin dell’8 gennaio a Istanbul, per giungere ad una intesa su questioni che potrebbero destabilizzare il suo potere come quella siriana e quella libica. Erdoğan punterebbe a preparare con Putin una importante iniziativa sulla Libia che potrebbe essere lanciata dopo la riunione presidenziale dell’8 gennaio, per meglio contrastare quello che lui chiama “la trama nel Mediterraneo orientale ordita contro la Turchia”. Erdoğan infatti lamenta che il suo paese è stato escluso dal Forum del gas del Mediterraneo orientale, istituito all’inizio del 2019 da Cipro, Grecia, Israele, Giordania, Palestina, Egitto e Italia per la costruzione di un gasdotto EastMed per trasportare gas estratto dai giacimenti scoperti nel Mediterraneo orientale ai mercati europei. La Turchia non vuole restare fuori da questa partita energetica, la crisi economica che sta vivendo il paese lo impone.

Erdoğan ha giustificato il sostegno militare offerto a Sarraj presentandolo come una esigenza di difesa dell’interesse nazionale e di sicurezza della Turchia nel bacino del Mediterraneo e nel Nord Africa che sarebbero minacciati dall’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar impegnato nella conquista di Tripoli. Il presidente turco ora deve soppesare bene le sue mosse. Deve decidere cioè se limitarsi ad una spedizione simbolica di circa 200 uomini con funzioni di sostegno logico e addestramento e non di combattimento o se impegnarsi con una operazione su vasta scala. Inviare propri soldati in un conflitto lontano duemila chilometri non avrebbe legittimità agli occhi della maggioranza dell’opinione pubblica turca e, secondo fonti vicine all’esercito turco, l’intervento in Libia non avrebbe nemmeno un pieno sostegno da parte degli stessi generali perché si tratterebbe di operare in un paese lontano nel Mediterraneo circondato da attori regionali ostili come l’Egitto, la Grecia e dove il nemico Haftar è sostenuto da paesi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, non certamente amici della Turchia.

I generali turchi propendono infatti per una spedizione limitata a poche unita e temono che una missione con impiego di truppe e mezzi aerei e navali possa mettere a repentaglio la sicurezza della Turchia. Ma al-Sarraj vuole da Erdoğan un supporto militare ad alto livello e lo stesso presidente turco ha detto più volte di voler andare incontro alle richieste del governo di Tripoli. Mentre l’Ue, tramite l’Alto commissario per la politica estera ribadisce l’appello a rispettare l’embargo Onu sulle armi e che non c’è soluzione militare alla crisi nel paese nordafricano, il leader del maggior partito d’opposizione in Turchia (Chp), Kılıçdaroğlu, lancia il suo appello alla comunità internazionale: «In Libia intervenga l’Onu e schieri con urgenza forze di Peacekeeping. Se ne faccia carico la comunità internazionale e ponga fine alla guerra civile in Libia».