Sembra che sia stata superata l’incertezza sulla visita del segretario di Stato americano Antony Blinken ad Ankara nell’ambito del suo viaggio in Medio Oriente e Asia. Blinken dovrebbe incontrare il suo omologo turco Hakan Fidan il 5 o 6 novembre e in agenda vi è il conflitto tra Israele e Hamas e diverse criticità che stanno mettendo a dura prova la tenuta delle relazioni bilaterali. Fonti americane affermano di temere che l’Iran possa fare un passo che potrebbe portare ad una guerra regionale e Ankara può essere cruciale per controllare e contenere le mosse di Tehran. Il 17 ottobre i proxy e le Forze Quds dell’Iran hanno lanciato più di due dozzine di attacchi con razzi e droni contro postazioni militari statunitensi e il 31 ottobre, poco prima dell’incontro dell’alto diplomatico iraniano ad Ankara, gli Stati Uniti hanno schierato una coppia di bombardieri B-1B Lancer nella base area di Incirlik di Adana per un’esercitazione. La base di Incirlik, gestita sia dall’Air Force Usa che dalle Forze aeree turche è strategica per gli Stati Uniti anche perché è a poco più di 200 chilometri dal confine siriano. L’Eucom ha affermato che lo schieramento dei B-1B era stato pianificato da tempo, ma è evidente la funzione di deterrenza nei confronti di Tehran per dimostrare la capacità degli Usa di proiettare la loro potenza aerea in tutto il medioriente e oltre.

Gli Stati Uniti e il rapporto tra Turchia e Hamas

Blinken arriverà in Turchia consapevole del fatto che la ratifica dell’adesione della Svezia nella Nato non è cosa fatta perché il processo rimane disseminato di insidie. Il protocollo di adesione è ora al vaglio del Parlamento dove Erdoğan detiene la maggioranza assoluta e potrebbe non autorizzare i suoi parlamentari a concedere il via libera alla Svezia se il Congresso americano non sbloccherà la vendita ad Ankara di nuovi caccia F-16. Ma dopo il massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre nei kibbutz israeliani, il Congresso americano si è irrigidito e ora chiede ad Ankara di recidere ogni legame con l’organizzazione palestinese. Appare molto improbabile che Erdoğan possa prendere questa decisione. La Turchia è un sostenitore materiale di Hamas dal 2011 e si basa nel rapporto diretto del presidente con questa organizzazione per motivi ideologici; ha accolto i suoi massimi leader e ha rilasciato loro i passaporti e consentito l’apertura di sedi, in particolare a Istanbul. Il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh, si trovava a Istanbul quando i suoi miliziani hanno fatto irruzione nelle città israeliane. Ciò aveva imbarazzato non poco il governo turco e Haniye sarebbe stato dunque, seppur gentilmente, invitato ad abbandonare subito la Turchia dopo che sui social media erano circolati video che mostravano lui e altri membri di Hamas prostrarsi in una “preghiera di gratitudine” mentre seguivano in televisione le notizie dell’incursione nelle città israeliane dei terroristi palestinesi. I leader di Hamas, Saleh al-Arouri, il capo di Hamas in Cisgiordania, e Haniyeh da oltre dieci anni hanno fatto la spola tra Turchia e Qatar e tra Turchia e Iran. Secondo diverse fonti sia a Washington che ad Ankara sembrerebbe che il governo turco abbia fornito anche sostegno militare ad Hamas. Proprio nel mese di luglio, le autorità israeliane avevano sequestrato 16 tonnellate di materiale esplosivo proveniente dalla Turchia e diretto a Gaza, probabilmente destinato alla costruzione dei razzi usati da Hamas. Nei primi anni della loro cooperazione, l’organizzazione fondamentalista avrebbe ricevuto 300 milioni di dollari all’anno di finanziamenti da Ankara.

Il punto di vista di Erdoğan

Erdoğan simpatizza per la causa di Hamas. Nel 2018, in un tweet inviato al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha sostenuto che “Hamas non era un’organizzazione terroristica, ma un movimento di resistenza che difendeva la patria palestinese contro una potenza occupante” e lo ha ripetuto anche dopo il 7 ottobre. Erdoğan non è nuovo a queste uscite. Nella sua visione del mondo, Hamas rappresenta l’essenza stessa del movimento di liberazione palestinese. Questo punto di vista è ampiamente rappresentativo del modo in cui gli islamisti turchi hanno da sempre inquadrato il conflitto arabo-israeliano. Il presidente è l’erede di Necmettin Erbakan, il moderno padre fondatore dell’Islam politico in Turchia, suo mentore, fervente antisemita che nelle Tv turche diffondeva il classico repertorio antiebraico. Il raggiungimento della sua maggiore età politica è avvenuto nello stesso momento in cui questa retorica antiebraica, antiamericana e più in generale antioccidentale, si diffondeva ampiamente nella società turca. Il sostegno di Erdoğan ad Hamas ha reso questa organizzazione e la causa palestinese popolari tra la sua base di elettori. Insieme all’Iran e al regime del Qatar, la Turchia è diventata uno dei principali facilitatori di questo gruppo. Un sostegno dunque non generico, ma concreto, diretto, politico, logistico e finanziario.
Certamente nel sostegno ad Hamas vi è anche molta propaganda ad uso interno data in pasto alla propria base elettorale con messaggi rivolti alle forze politiche del paese e alla “umma” dalle quali teme di essere scalzato dalla leadership che intende esercitare come alfiere della causa palestinese. Erdoğan non represse i suoi sentimenti nel World Economic Forum del 2009 a Davos. In quell’occasione, dopo l’operazione israeliana “Piombo fuso” a Gaza, in risposta ai lanci di razzi di Hamas, accusò il presidente israeliano Shimon Peres di sapere come uccidere i bambini palestinesi. Le relazioni diplomatiche tra Turchia e Israele si interruppero totalmente quando nel maggio del 2010 Erdoğan autorizzò una “flottiglia di aiuti” a Gaza nel 2010. Che tentò di violare il blocco della Marina israeliana che prese d’assalto la flottiglia provocando la morte di nove attivisti turchi. Fino ad allora, Ankara e Israele avevano sviluppato non solo una stretta relazione tra governi, ma anche tra i popoli. Gli israeliani si riversavano in massa nelle città costiere turche durante l’estate, mentre i servizi militari e di intelligence turchi beneficiavano di una stretta relazione con le loro controparti israeliane, che hanno contribuito a modernizzare i carri armati e la flotta aerea turca. Tutto questo è scomparso dopo l’incidente della Mavi Marmara e ci sono voluti dodici anni per la ripresa di normali relazioni diplomatiche. Ma dopo il 7 ottobre i rapporti sembrano di nuovo azzerati. La decisione di coltivare la relazione con Hamas è dunque una scelta del tutto personale di Erdoğan e non una decisione strategica preferita dalle precedenti amministrazioni statali. Ora, però le relazioni con Hamas hanno radici profonde in Turchia e saranno difficili da sradicare.