Volodymyr Zelensky è atterrato ieri sera a Parigi e subito si è diretto all’Eliseo per incontrare Emmanuel Macron durante una cena a porte chiuse. È immaginabile che sia stato un incontro franco e, per certi versi, rilassante. Dopo le fatiche cui è stata sottoposta la delegazione ucraina nella due giorni di Riad, il presidente ucraino ha bisogno di avere di fronte un amico. Dal vertice saudita non è uscito nulla di chiaro. Ora il summit dei volenterosi – 31 leader tra Unione europea, Commonwealth e Asia, compresa Giorgia Meloni – si impegna ad andare nella direzione opposta. L’obiettivo è rispondere a una domanda secca: «Chi è pronto?». Questo chiederà Zelensky ai suoi amici e alleati oggi.

Peacekeeping in Ucraina?

Chi è pronto a dispiegare i propri uomini in un’eventuale missione di peacekeeping, sotto egida Onu, qualora si arrivasse a una tregua? Il quesito offre il fianco per altri interrogativi, che vanno più nel dettaglio delle regole di ingaggio. Se davvero le ostilità dovessero sospendersi, è necessario capire quali obiettivi sensibili sarebbero protetti. Soltanto le infrastrutture energetiche e i porti del Mar Nero oppure anche abitazioni private, scuole e ospedali che Mosca ha colpito non oltre due giorni fa? E se anche i Caschi blu dovessero mettersi in marcia, dove si dovrebbero arrestare? Lungo il confine euro-ucraino oppure oltre, quindi a ridosso del fronte? «Si tratterebbe di una forza che monitora il rispetto del cessate il fuoco, che è cosa ben diversa dalle garanzie di sicurezza di cui si parla», ha spiegato Jean-Pierre Lacroix, braccio destro del segretario generale Onu, António Guterres, con delega alle Operazioni di pace. Parole che legittimano le buone intenzioni del summit di Parigi, mentre rimarcano l’ambiguità di quello di Riad.

I volenterosi si chiamano così proprio perché sono convinti di poter dare delle garanzie a Zelensky. Sconfessando così gli Usa, che non credono in noi, e la Russia, che invece ci considera ridicoli. Sempre ieri il capo della diplomazia del Cremlino, Sergej Lavrov, ha apostrofato i partecipanti al vertice parigino come «sognatori, che stanno dimostrando la loro totale incompetenza politica ogni giorno che passa».

Il Cremlino e le sanzioni: zero respiro a Putin

È ancora presto per dire se sia sufficiente o meno, ma è indubbio che a Bruxelles abbiano cambiato i toni da due mesi a questa parte. Mai ci saremmo immaginati Kaja Kallas, numero uno della diplomazia Ue, che lancia – come ha fatto ieri – una “Strategia per la preparazione”. Un piano di reazione rapida da attivare in caso di crisi (attacchi armati, minacce ibride e cyberattack), che prevede la fornitura di scorte essenziali per un minimo di 72 ore.  D’altra parte, mentre Zelensky dall’Eliseo rivendica la necessità di far tacere i cannoni, il Cremlino appare più concentrato sull’altro capitolo delle trattative: quello delle sanzioni. Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, vi è tornato anche ieri. È segno che sono la vera spina nel fianco di Mosca. Se non dovesse risolversi questo nodo, una volta stoppato il conflitto, l’economia russa mostrerebbe tutta la sua debolezza. Nel 2024 il PIL è cresciuto del 4%, ma dopato da tre anni di guerra. La spesa militare ha rappresentato circa l’8% del Prodotto interno lordo e il 40% del bilancio federale. Mosca brama più di ogni altra cosa di tornare a controllare i propri capitali bloccati nelle banche soprattutto europee. Questo tema però non è mai stato affrontato da nessuno in Europa. Lo stesso succederà a Parigi, dove Macron non ha la minima intenzione di offrire una qualunque possibilità di respiro a Putin.

Eliseo baluardo anti-Putin

Sul continente, infatti, l’Eliseo si conferma il più pugnace baluardo anti-Putin. E il suo inquilino si augura che oggi a Parigi questo ruolo gli venga riconosciuto dal maggior numero di leader. Meloni sarà la più restia a farlo. Va detto. D’altra parte, al presidente francese torna facile mostrare i muscoli più che alla nostra premier. A metà del secondo mandato e, di fatto, con il pieno controllo della politica estera, non ha l’angoscia che un qualsiasi ministro euroscettico si metta di traverso alla trama che sta tessendo sullo scacchiere mondiale. Nemmeno gli avversari del Rassemblement National, di cui è nota la fascinazione per Putin, si sono espressi contro il riarmo. Loro sono contrari all’idea di Macron di mettere a disposizione di tutta l’Ue lo scudo nucleare francese. Alla fine partono dallo stesso approccio di Trump: la bomba è mia e il bottone lo pigio io.

Ancora la settimana scorsa un sondaggio della rivista “Le Grand Continent” diceva che il 70% degli europei è favorevole a una Difesa comune. Ma nel dettaglio: il 77% in Francia, il 58% in Italia. Facile parlare di riarmo in un Paese del genere.