L'allargamento
Ucraina nell’Ue, via libera ai negoziati. Attesa per la revisione del Patto di stabilità
Orban assente al voto sull’adesione di Kiev. Status di candidato alla Georgia, porticina aperta alla Bosnia. Restano i nodi relativi alle regole fiscali e di bilancio dei 27 e alla governance per l’Europa per il futuro
Alla fine tanto tuonò che non piovve. La giornata a Bruxelles, dove si è aperto ieri mattina il Consiglio Europeo, era iniziata con molte ombre sui tempi dell’ingresso dell’Ucraina in Europa. E altrettante ombre sul nuovo Patto di stabilità su cui l’Italia continua a ventilare l’ipotesi del veto, che vorrebbe dire far saltare tutto. Qualche luce sulla revisione del bilancio europeo. Ma alla fine, con un coup de théatre inaspettato, Viktor Orban, il cancelliere ungherese che aveva paventato fuoco e fiamme su quasi tutti i punti all’ordine del giorno ed in particolare su quelli che riguardavano l’Ucraina, ha ceduto non partecipando alla votazione. E conseguentemente non esercitando il diritto di veto, proprio quando si era ad un soffio da uno strappo che poteva anche avere punti di non ritorno. Via ai colloqui con Ucraina e Moldavia per l’ingresso nell’UE, status di candidato alla Georgia, porticina aperta alla Bosnia. “Un chiaro segnale di speranza per i loro popoli e per il nostro continente”, ha commentato il presidente del consiglio europeo, Charles Michel.
L’attesa per il bilancio europeo
Il vertice ha ancora un’agenda definita “ricca e complessa” alla fine di un anno “molto complesso” e dove i 27 leader sono arrivati sapendo di dover assumere “decisioni di forte valenza geopolitica”. Poiché anche a Bruxelles la notte, i corridoi e gli sherpa sanno fare miracoli, nulla esclude che già nella notte e stamani si possano invece avere altre buone notizie. In merito soprattutto all’altro dossier scottante, la revisione del bilancio europeo pluriennale dove l’Italia rischia brutti tagli sia alla voce immigrazione che sull’industria. Oggi e forse anche domani resteranno da discutere decisioni importanti su Medioriente, Sicurezza e Difesa, immigrazione e agenda strategica Ue. Ecco perché i vari staff hanno messo in conto di passare nella pancia dell’Europa building anche la mattina di sabato. Si tratterebbe di una rarità. Ma questo Consiglio è anche molto politico visto che s’intreccia con la campagna elettorale per le Europee e sono molti i leader europei che vogliono monetizzare in consenso le decisioni da prendere. Senza contare che la stessa presidente della Commissione Ursula von der Leyen (ieri è apparsa con sciarpa e sottotono causa Covid, “ne sto uscendo” ha rassicurato) gioca buona parte della sua riconferma proprio nelle due partite principali all’ordine del giorno: allargamento Ue e Ucraina e revisione del bilancio. Tra risultati annunciati ed ancora attesi – via libera al processo di adesione di Ucraina e Moldavia (che significa togliere a Putin ulteriori alibi per altre invasioni) e soldi freschi per budget per sostenere l’Ucraina e il Patto per le migrazioni e l’asilo – von der Leyen potrà cominciare la sua campagna elettorale con buoni argomenti a disposizione.
Il vertice informale
Poi ci sono i temi fuori agenda. Che non sono meno importanti: la revisione del Patto di stabilità e crescita, le regole fiscali e di bilancio dei 27, e quale governance per l’Europa per il futuro. È chiaro che con queste regole – prima di tutto il potere di veto anche di un solo paese membro che può far saltare tutto – è difficile avere un’Europa più forte e decisiva nel quadro geopolitico internazionale. Soprattutto di questo hanno parlato mercoledì sera in un vertice informale ma non improvvisato (frutto di lunghe mediazioni tra gli staff) prima tra Meloni e Macron e poi allargato al cancelliere Scholz, i tre paesi fondatori dell’Unione ai quali si chiede adesso un colpo di reni, un cambio di marcia, per fondare una nuova Europa. La caffetteria dell’hotel Amigo, il 5 stelle nel cuore della vecchia Bruxelles che tradizionalmente ospita i capi di stato e di governo, ha fatto così da sfondo, complice una bottiglia di vino rosso francese, ad un lungo confronto prima sull’asse Roma-Parigi e poi su quello Roma-Parigi-Berlino. Impossibile sapere se sia stato affrontato anche il tema del coinvolgimento politico di Mario Draghi alla guida della Commissione. Di sicuro la foto della serata, i tre leader al tavolo intorno alla bottiglia di vino, da una parte somiglia, dall’altra è distante anni luce da quello sul treno per Kiev e che ogni volta fa saltare i nervi a Meloni. “Non si fa politica estera con una foto in tre”, ha detto con disprezzo Meloni martedì alla Camera per spiegare poi, il giorno dopo, che “si riferiva al Pd e non certo a Draghi”. Ieri palazzo Chigi ha dovuto insistere più volte nel ricordare che infatti la premier aveva in agenda numerosi bilaterali con vari leader.
La colpa di Orban
Ma torniamo all’ufficialità dei papers di palazzo Europa, sede della riunione dei 27. Se mercoledì sera la riunione con i presidenti dei paesi balcanici è finita prima del previsto, ieri mattina il Consiglio è slittato di circa un’ora e mezzo. Per lasciare lavorare gli sherpa. La colpa era sempre sua, di Viktor Orban, caro amico di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Il premier ungherese ha continuato ad alzare il prezzo. È la cosa che sa fare meglio ma questa volta nel chicken game – vediamo chi osa di più sul ciglio del burrone – potrebbe rimetterci proprio Orban. L’ungherese ancora dice no alle scelte che Bruxelles ha sostenuto in blocco in questi quasi due anni di guerra. “L’allargamento è un processo basato sul merito. Non ci sono eccezioni”, ha twittato ieri Orban a fine mattinata postando una foto dell’incontro da poco concluso con Michel, von der Leyen, Macron e Scholz. Dove finisca il bluff e inizi la trattativa è il confine sottile lungo il quale ancora passa la possibilità di un accordo. All’Ungheria è stato offerto – tra mille polemiche dei parlamentari di maggioranza – lo sblocco di dieci miliardi di quei fondi UE congelati a suo tempo per le numerose violazioni di diritti fondamentali, dalla giustizia all’informazione. Questa è la carota: il bastone è quello di uno strappo che nei fatti sancisca una nuova prassi a livello europeo, basta col potere di veto. Orban e Meloni hanno poi avuto un bilaterale. Il cui esito è rimasto fino a sera top secret. Nel pomeriggio è stato sospeso anche il confronto tra i leader sulla revisione del bilancio 2021-2027, revisione che dovrebbe assicurare risorse nuove per l’Ucraina e per alcune sfide chiave come la migrazione e l’innovazione.
Il compromesso
La sospensione non è una fumata nera. Gli sherpa hanno continuato a lavorare sul compromesso messo sul tavolo dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Si tratta di concordare ancora “pochi aggiustamenti e dettagli” per trovare una sintesi tra la proposta iniziale dalla Commissione europea e il no dei soliti paesi “frugali” a risorse extra (salvaguardando quelle per l’Ucraina). Il compromesso avrebbe il favore dei Ventisette. Si resta in attesa di una nuova e definitiva proposta. Orban, sempre lui, aveva minacciato di porre il veto a 17 miliardi di euro di sovvenzioni e 33 miliardi di prestiti per Kiev nel bilancio comunitario. La sua proposta è uno strumento ad hoc, separato dal quadro finanziario pluriennale. In generale però Orban non sarebbe ostile a un accordo sulla revisione delle altre voci di spesa che è l’altro punto che sta molto a cuore all’Italia.
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