Chiudere la stagione dell’assistenzialismo, così come è stato fatto per un breve periodo significava spingere i giovani a sognare e a costruirsi un lavoro, e stava finalmente facendo crescere la nostra produzione e la qualità del nostro prodotto. Vi parlo del Sud perché è lì che l’accesso malato all’amministrazione pubblica ha distrutto le vite di tanti ragazzi: ingegneri messi a spazzare le strade o a fare i vigili urbani pur di aver il posto fisso, spesso clientelare. È stato un breve periodo, poi tutto questo si è interrotto. Penso ai settore economici più interessanti, la new economy, l’agricoltura e il turismo, dove la parola “impresa” aveva smesso di essere una parolaccia: con il Jobs Act si favorivano le assunzioni e si apriva una finestra di fiducia nel futuro . Naturalmente servivano tempo, investimenti, infrastrutture, credito ai giovani, ma questo percorso andava incoraggiato e sostenuto.

Avevamo investito decine di miliardi nei vari Patti per il Sud per realizzare le infrastrutture e instradare l’innovazione. Separare il lavoro dall’assistenza, introdurre misure strutturali di contrasto alla povertà: il reddito d’inclusione era stato realizzato con questo obiettivo, andava potenziato, non abolito. Così come la Naspi, che non lasciava senza reddito chi perdeva lavoro in attesa di trovarne un altro.  Ed ora? Siamo tornati indietro di qualche decennio. Il Movimento 5 stelle ha reintrodotto i lavori socialmente utili travestiti da reddito di cittadinanza, la Lega ha decretato che il Sud tornasse a essere il granaio elettorale assistito economicamente. Senza proposta di lavoro, quello che doveva essere un reddito temporaneo, fornito dallo Stato in attesa d’occupazione, diventa un reddito permanente, una pensione sociale anticipata per tutti, una desertificazione dei nostri cervelli, della nostra voglia di fare.

Mi sono chiesto dove diavolo lo abbiamo lasciato l’orgoglio, noi del Sud? Prendere una mancia, azzerare le nostre coscienze, la nostra voglia di fare, mentre nel mondo si viaggia a mille. Noi avevamo tracciato un orgoglioso percorso per la crescita del Sud, questi si comprano la nostra anima con qualche moneta. Ne valeva proprio la pena? No, perché, fateci caso: sono ripartiti tutti, ma proprio tutti, tranne noi. L’Italia non riesce a uscire dalla crisi ed è stata doppiata da paesi come la Grecia o il Portogallo.

Chiunque ha ingranato la marcia ed ha saputo rialzarsi, austerità o meno. Noi no, e la ragione è molto semplice: in questi anni bui di recessione la crisi non è stata gestita ma ingrossata da un populismo autolesionista che ha fatto invece benissimo il suo lavoro, quello di creare sempre più scontento, ancora più povertà, affinché le persone potessero continuare a dire che nulla va bene e tutto va cambiato. Quindi, mentre i riformisti sono stati divorati dalla bestia del sovranismo che ha messo le sue feroci mani sulle spalle degli italiani per bloccarli a terra, la crisi, con le sue conseguenze più evidenti, dalla perdita del lavoro, all’aumento delle disuguaglianze sociali, fino al disfacimento del tessuto economico ed etico di una società che voglia dirsi civile, avanzava su una strada spianata.