Il parere
Un conto è un saluto romano commemorativo, altro un saluto fascista esibito in un corteo che assalti sede giornale
Nonostante la sincronia temporale tra le polemiche per la commemorazione delle vittime della strage di Acca Larenzia, trasvolate strumentalmente sin nel cuore di un semi-deserto Parlamento Europeo e considerando che le commemorazioni si tengono da decenni, spesso con numeri di partecipanti ben maggiori, e la decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulla valenza del saluto romano esibito in un rito del “Presente”, le due vicende non hanno alcuna attinenza tra loro, se non per la valenza generale della pronuncia. Infatti la Suprema Corte è stata chiamata a enunciare un principio di diritto nel cuore di una vicenda risalente al lontano 2016; in quell’occasione, la Procura di Milano aveva incriminato e portato a giudizio otto militanti di destra, i quali avevano salutato romanamente per commemorare Sergio Ramelli, giovane membro del Fronte della Gioventù barbaramente trucidato da estremisti di sinistra nell’aprile del 1975.
Nel 2023 la I Sezione penale della Corte di cassazione, alla luce dei contrasti ermeneutici insorti nel corso del tempo a proposito del saluto romano inserito nel rito commemorativo del “Presente”, aveva quindi rimesso la questione alle Sezioni Unite. Il quesito, oltre a soffermarsi su alcuni punti essenzialmente tecnici, come il concorso o il rapporto di specialità intercorrente tra le previsioni incriminatrici di cui alla legge Scelba del 1952, a mente della quale vengono punite l’apologia del fascismo e la ricostituzione del partito fascista, e quelle della legge Mancino del 1993, concernente le ipotesi di discriminazione razziale e istigazione all’odio razziale, chiedeva alle Sezioni Unite di prendere posizione sulla natura stessa del saluto romano alla luce del nostro quadro ordinamentale penale.
D’altronde, con buona pace di alcuni organi di stampa, politici e commentatori che hanno nei fatti comunicativamente rovesciato la decisione dei giudici di legittimità, era noto che il saluto romano potesse essere reato, date certe condizioni. In caso contrario, le Sezioni Unite nemmeno sarebbero state interessate. Vi era invece proprio da stabilire se quel gesto fosse sempre reato, in re ipsa, o solo se invece inserito in contesti chiaramente apologetici, capaci di suscitare concreto pericolo per la tenuta dell’ordinamento e volti alla ricostituzione del partito fascista.
Come sottolinea l’avvocato Domenico Di Tullio, difensore di due degli otto imputati, anche in previsione del nuovo giudizio di appello, avendo la Cassazione disposto l’annullamento della sentenza di condanna con rinvio per una nuova decisione dei giudici del gravame, e in attesa del deposito delle motivazioni, la decisione rimarca come ai fini della contestabilità della legge Scelba o della legge Mancino, il saluto romano non basti a se stesso. Esso deve essere inserito in un preciso quadro organizzativo volto o alla concreta e attuale ricostituzione del partito fascista o alla discriminazione razziale. Le Sezioni Unite si sono parzialmente discostate dalle richieste del Procuratore Generale, il quale aveva proposto un quadro più restrittivo, pur se sempre inserito in un contesto articolato di connessione tra il gesto e il pericolo per l’ordine pubblico.
È sufficiente una semplice lettura sistematica del nostro ordinamento e dei suoi principi ispiratori per comprendere come a poter essere penalmente rilevanti siano non tanto le idee o i simboli, e sarebbe assai poco liberale se ad essere incriminate fossero le opinioni o le espressioni anche se riconducibili alla eccezionalità della esperienza fascista, quanto la ipotetica trasformazione degli stessi in strumenti di lotta politica funzionali alla frattura dell’ordinamento. Un conto, detto brutalmente, è un saluto fascista puramente commemorativo, che esaurisce la sua valenza nel gesto del ricordo, altro un saluto fascista esibito in un corteo che assalti una sede di giornale, partito o sindacato. Nonostante vi fosse, causa polemiche politiche e l’avvicinarsi delle prossime elezioni europee, una sorta di messianica attesa per la pronuncia, l’esito appariva scontato. E, in punto di diritto, del tutto condivisibile.
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