Giustizia
Un nuovo volto alle carceri per fare spazio a riscatto e diritti: architetti e ingegneri alla prova futuro

Che in Italia le carceri siano al collasso è cosa acquisita. Gli effetti si misurano con il drammatico andamento dei suicidi, che mai nella storia dell’esecuzione penale italiana si sono presentati con tale asprezza. Le cause di questa realtà, se non vogliamo fare solo propaganda di basso profilo, non sono da attribuire interamente all’attuale governo. A sostegno di ciò basti ricordare quando la Cedu nel 2013 condannò l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. La Corte di Strasburgo affrontava quanto di inaccettabile nell’esecuzione penale in Italia già da molto prima avveniva per il sovraffollamento carcerario. C’è da dire che, nonostante il tempo passato e l’alternanza di governi a colorazioni politiche e sfumature diverse, nulla è stato compiuto per fare di meglio. Nulla. A parte i convegni, i tavoli “tecnici” e gli esperti autonominati.
Oltre che della politica, il ritardo è anche di quell’ovattato mondo accademico che – se si fosse attivato come da anni l’argomento meritava – sarebbe potuto essere un serio punto di riferimento pure per l’Amministrazione penitenziaria e la politica tutta. Si pensi alle università, tuttora in parte dormienti e lontane dal tema. Luoghi accademici ove non si sarebbe dovuto attendere un istante subito dopo la sentenza della Cedu per promuovere programmi di studio più coordinati all’interno delle diverse facoltà. Dopo la sentenza Cedu, in alcune facoltà di architettura rari docenti sensibili al problema si sono attivati sull’argomento, impartendo lezioni nell’ambito di corsi destinati prevalentemente però solo agli aspetti compositivi dell’architettura.
Ciononostante, per quanto riguarda la formazione professionale di architetti e ingegneri – con spiccata preparazione attorno all’argomento dell’esecuzione penale – siamo ancora eccessivamente ristretti in approcci individuali, episodici e subalterni a logiche quanto mai lontane da un’autentica preparazione sistemica di alto profilo culturale come il complesso argomento da anni richiede. La stessa esercitazione universitaria, indirizzata prevalentemente al superamento di un esame di composizione architettonica o di laurea, si realizza oggi all’interno di alcune facoltà come un mero addestramento grafico, lontano anni luce dalle importanti problematiche culturali attinenti l’esecuzione penale. Questi insegnamenti si ritrovano totalmente sganciati dal più vasto dibattito e dall’indispensabile formazione professionale di una cultura costruita su competenze ulteriori.
A fronte di questo problema, per consentire ai già laureati in architettura e ingegneria di poter competere in futuro con la necessaria preparazione professionale nei confronti delle vaste tematiche inerenti la questione penitenziaria, in vista anche di auspicabili ampliamenti di organico all’interno del ministero della Giustizia e del Dap, un gruppo multidisciplinare di qualificati professionisti e docenti universitari – già da anni con ruoli differenti presenti nella macchina penitenziaria – è stato chiamato dalla Lumsa Human Academy – Fondazione Luigia Tincani ETS, con il patrocinio del ministro della Giustizia Carlo Nordio, per costruire un corso di Alta formazione professionale sulle “strutture detentive e management gestionale complesso”.
L’obiettivo positivo è quello di fornire finalmente ai professionisti un complesso di conoscenze come approccio sistemico al tema-carcere quando domani saranno chiamati al banco di prova con la materia detentiva. L’iniziativa culturale si connota come originale atto di responsabile attenzione alla tematica penitenziaria. Un passo avanti verso una maggiore preparazione di coloro che si confrontano con il problema carcerario. Una seria specializzazione professionale volta a formare tecnici preparati a fornire soluzioni più coerenti con una concezione del carcere in linea con i diritti umani, con le indicazioni della Costituzione e le leggi europee.
Il futuro deve vedere la formazione di chi lavora per il carcere fatta da rappresentanti delle istituzioni ed esperti, espressione certa di saperi multidisciplinari e integrati. Il carcere deve rappresentarsi dentro e fuori come luogo di cultura della legalità, di erogazione di servizi sanitari, di formazione qualificata professionale, di studio, di incontro con gli affetti familiari, con il mondo dove ci si ricostruisce di fronte al tema dei diritti umani, civili, politici.
© Riproduzione riservata