Il Natale meloniano è stato il perfetto coronamento di un 2024 da incorniciare per la Premier, tanto sul piano dei successi personali, quanto sulla compattezza della coalizione di centrodestra e del governo. Dopo ventisei mesi il primo governo di destra-centro, come ama definirlo una certa stampa può vantare – caso unico – di essere il solo esecutivo stabile e con una prospettiva di lungo periodo tra i paesi che compongono l’Unione europea.

Roma sorride

Le maestrine d’Europa, Francia e Germania, sono nel pieno del caos politico e arrancano anche economicamente, del resto come erano solite ricordare l’instabilità crea incertezza e destabilizza i mercati. Segue a ruota anche la Spagna dove l’esecutivo Sánchez sembra vicino a esalare l’ultimo respiro parlamentare, mostrando in tutta la sua evidenza la crisi politica della socialdemocrazia europea. Se Parigi e Berlino piangono e Madrid singhiozza, Roma sorride e si gode una certa rivincita morale, ma osserva con attenzione gli spazi lasciati liberi che possono e devono essere riempiti, una vecchia legge della politica e della storia a cui l’Italia sembra voler tenere fede, contrariamente a quanto avvenuto nel recente passato.

Salvini assolto, paesi sicuri confermati

Per quanto la politica estera possa essere considerata senza timore di smentita il fiore all’occhiello del governo guidato da Giorgia Meloni e interpretato pienamente dall’attivismo della Premier, la politica interna – che qualche problemino polemico ogni tanto alla Premier lo dà – ha fornito due risultati che permettono di portare totalmente il positivo il bilancio politico di fine anno. L’assoluzione di Matteo Salvini e la pronuncia della Cassazione sui paesi sicuri hanno rinforzato il governo e chiuso all’ipotesi di uno scontro istituzionale che avrebbe finito per tenere in ostaggio il paese. Una dialettica negativa che avrebbe portato de relato ad una ulteriore frattura tra poteri dello Stato che non può però essere considerata archiviata, ma solo rimandata. La riforma della giustizia è sul tavolo e marcia spedita e questo provoca non pochi nervosismi nell’anima correntizia e politicizzata della magistratura. L’opposizione dell’ANM e di chi in questi anni ha gestito gli equilibri interni al terzo potere dello Stato non si fermerà, ma l’equilibrio di chi – e non sono pochi – tiene al rispetto delle parti e alla presunzione d’innocenza sembra aver prevalso almeno nel caso Salvini. Sulla pronuncia degli ermellini è chiara l’interpretazione non politica e il rafforzamento del ruolo del potere esecutivo nell’attribuzione del riconoscimento dello status di “paese sicuro”, che permette al governo di superare uno scoglio di non poco conto, dovendo il governo evitare lo scontro istituzionale, ma non potendo arretrare sulla propria politica.

Del resto Giorgia Meloni lo aveva ribadito più e più volte, dal suo intervento conclusivo di Atreju al dibattito in Senato, “i centri in Albania funzioneranno”. Una frase che dopo la pronuncia della Suprema Corte e l’assoluzione di Salvini si rafforza ulteriormente e finisce per archiviare le baldanze di una sinistra che forte dell’offensiva giudiziaria si era affretta a bollare come “ fallito” il progetto del governo. Un piano a cui tutta Europa guarda come modello, senza distinzioni politiche di sorta. Olanda e Danimarca tra i paesi più interessati, con la Commissione europea pronta ad appoggiare una soluzione definitiva per arginare il problema migratorio che insieme alla scellerata politica “ecofollie” voluta da socialisti e verdi, che ha finito per destabilizzare l’economia e l’equilibrio sociale del vecchio continente, provocando i terremoti elettorali che hanno travolto i governi di mezza Europa. Per Meloni questo è un dato cruciale, perché non solo le permette di indirizzare l’agenda europea, ma di tenere in scacco l’opposizione, rea di sollevare critiche, ma ad oggi a corto di soluzioni alternative rispetto a quelle proposte dalla maggioranza.

La legge di Bilancio

Ora, per completare il quadro del 2024 non resta che approvare la legge di Bilancio e chiudere le ultime polemiche “interne”, quelle che fanno scrivere molto ma che fino ad ora sono state pienamente riassorbite dalla leadership meloniana. L’assoluzione salviniana ha anche finito per riportare al centro dell’agenda il tema del Ministero degli interni, da sempre meta salviniana per definizione, da cui però il vicepremier fu escluso a causa del processo che si è concluso con l’assoluzione piena, in quanto “il fatto non sussiste”.  Dunque questo per qualcuno avrebbe riacceso la speranza in Salvini di poter rientrare al Viminale. Tutti pettegolezzi per le voci della maggioranza, la ricerca di un pretesto per creare zizzanie nel governo. Versione confermata dal fatto che Piantedosi è sì un tecnico, ma in quota Lega e con un bilancio che dalla maggioranza giudicano positivo. Poi del resto sul punto rimpasto è stata chiara la stessa Premier, che ha ribadito che non è e non sarà mai un’ipotesi sul tavolo. Del resto tutti i cambiamenti avvenuti in corsa nella squadra di governo sono stati il frutto positivo (vedi nomina Fitto) o negativo (dimissioni Sangiuliano) di cause di forza maggiore.

La finanziaria che vale 30 miliardi

Il tema in agenda per l’esecutivo è solo l’approvazione della finanziaria che vale 30 miliardi e che il governo ha blindato, al netto della polemica delle opposizioni e di qualche malumore anche tra i senatori di maggioranza, ma è una prassi in voga da anni e serve ad evitare l’esercizio provvisorio. Porre la fiducia infatti non è solo una soluzione per evitare qualche sorpresa ma a questo punto una necessità dettata dal metronomo costituzionale. I numeri della manovra sono chiari e nonostante i limiti imposti dalle maglie strette e dall’eredità pesante degli spenderecci grillini sempre ribadita dalla Meloni, l’esecutivo e la maggioranza hanno inserito all’interno della manovra alcuni dei più importanti tra i cavalli di battaglia elettorali. L’ipotesi di una discussione in aula a Palazzo Madama sembra definitivamente naufragare – nonostante fosse stata originariamente ipotizzata – alla luce degli 800 emendamenti presenti dalle opposizioni, che impongono un bagno di realismo anche ai neo difensori della centralità del parlamento.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.