L’Albergo dei Poveri non è soltanto un’architettura a grande dimensione, tra le più mastodontiche in Europa, ma anche e soprattutto un importante caposaldo tipologico per la città di Napoli. La stessa forma urbis della città ottocentesca orientale, è stata generata a partire dall’impianto architettonico ideato da Ferdinando Fuga, architetto di Carlo di Borbone e Ferdinando IV insieme a Luigi Vanvitelli.

Il tridente orientale partenopeo costituito dal Corso Garibaldi, Via S. Alfonso dei Liguori e da Via Lahalle, che si estende dal vertice di Piazza Carlo III e diverge verso il fronte mare, rappresenta il tracciato urbano principale di una seconda struttura urbana a maglia ortogonale definita dagli edifici residenziali a blocco dei quartieri di Poggioreale, Vicaria e San Lorenzo. In particolare l’Albergo dei Poveri fa parte di quella trilogia architettonica sociale costituita dalla monumentale fabbrica settecentesca nonché dal Cimitero delle 366 fosse e dai Granili, unico edificio a grande dimensione demolito nel secondo dopoguerra.

L’Albergo dei Poveri e il suo alter ego architettonico cimiteriale furono progettati tra il 1751 ed il 1762 da Ferdinando Fuga nella parte orientale della città partenopea. L’attuale Albergo dei Poveri con i suoi 364 metri di lunghezza è, in realtà, la versione ridotta del progetto originario che prevedeva un mastodontico edificio di cinque corti in linea, misurante ben 600 metri, di cui, quella centrale, avrebbe dovuto ospitare una chiesa con quattro navate a croce di Sant’Andrea destinata ad ospitare, in ognuna di esse, le quattro categorie di ospiti del popolo indigente per la quale l’edificio era stato ideato: donne, bambine, uomini e bambini.

Tale utopistica concezione tramonta circa settanta anni dopo la sua concezione, nel 1816, quando nella società borghese i principi di suddivisione, reinterpretabili secondo le categorie foucaltiane del sorvegliare, controllare e punire, non rispondevano più al sentire sociale del diciannovesimo secolo. L’Albergo dei Poveri, infatti, oggi rappresenta una utopia architettonica incompiuta: un edificio a tre corti finito sul prospetto meridionale che si affaccia sull’antistante Piazza Carlo III e non finito sul prospetto posteriore ove ci appare alla stregua di una vivisezione architettonica. Una sorta di Pompei settecentesca, ove la mancanza di intonaco ci fa apprezzare gli apparecchi costruttivi messi in opera nella seconda metà del Settecento: un lungo fronte in muratura che esprime gloria architettonica da tutti i pori delle sue pietre in tufo.

La numerologia e la geometria dell’Albergo dei Poveri ci introducono alle sue assonanze architettoniche con il Cimitero delle 366 fosse. La forma planimetrica delle corti laterali quadrate dell’Albergo dei Poveri misurano circa 80 metri x 80 metri ognuna di esse: caratteristica dimensionale e geometrica che accomuna l’edificio per il popolo bisognoso al Cimitero delle 366 fosse ubicato esattamente a mille metri di distanza, ad est, sulla collina funebre di Poggioreale. Il Cimitero delle 366 fosse, realizzato nel 1762 per conto dell’Arciconfraternita di Santa Maria del Popolo agli Incurabili, segna l’avvio dell’infrastrutturazione cimiteriale del versante meridionale della collina di Poggioreale rappresentandone, ancora oggi, il principale caposaldo tipologico funebre.

Il cimitero venne costruito per dare degna sepoltura alle numerose salme del popolo indigente che, quotidianamente, venivano gettate nella fossa dell’Ospedale degli Incurabili o seppellite nelle aree periferiche della capitale. La corte funebre è caratterizzata dalla presenza di 366 fosse comuni, ognuna chiusa da una pietra tombale numerata, nelle quali venivano “gettati”, quotidianamente, i resti mortali dei poveri deceduti nell’Albergo dei Poveri o nell’Ospedale degli Incurabili a Caponapoli sotto il quale era collocata la famigerata Piscina, una spelonca oscura, ove precedentemente alla costruzione delle 366 fosse venivano abbandonati i cadaveri.

Dalla tessitura della pavimentazione emergono, di pochi centimetri, trecentosessanta pietre tombali di forma quadrata. Su ogni monolite è scolpito, in bassorilievo, un numero in cifra araba. Altre sei fosse sono ubicate nell’atrio d’ingresso. In totale si ottiene un numero di trecentosessantasei pietre tombali cui corrispondono altrettante singole fosse, a pianta quadrata, profonde circa sette metri. Le fosse presenti nella corte sono allineate in numero di diciannove su diciannove file.

Ferdinando Fuga sottrae a tale griglia ortogonale la fossa centrale collocando in quel luogo, oltre ad un lampione anche un tombino per lo smaltimento delle acque piovane. Da questo cimitero inizia la strutturazione funebre della collina di Poggioreale ed il primo sepolcreto borghese ottocentesco sorgerà proprio alle spalle del muro settentrionale attraverso la realizzazione del cimitero dei Colerici disegnato da Leonardo Laghezza in conseguenza dell’epidemia di Colera del 1834.

Paolo Giordano, professore ordinario di Restauro e Coordinatore del Dottorato di Ricerca in “Architettura, Disegno Industriale e Beni Culturali”, dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli

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Professore ordinario di Restauro e Coordinatore del Dottorato di Ricerca in “Architettura, Disegno Industriale e Beni Culturali”, dell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli