Vinitaly 2025 ha chiuso la sua 57a edizione a Verona con un messaggio forte: il vino italiano è pronto ad affrontare l’incertezza globale con resilienza e strategia. Con 97 mila visitatori da oltre 130 paesi e 4mila aziende espositrici, la fiera di quest’anno ha confermato il suo ruolo di motore trainante per l’internazionalizzazione e l’innovazione nel mondo del vino, a dispetto dei segnali di crisi e proprio mentre altre fiere, come il Prowein di Dusseldorf, conoscono il fallimento.

La partecipazione di oltre 30 mila buyer esteri, di cui 3 mila dagli Stati Uniti, riafferma il ruolo vitale degli Stati Uniti come mercato, particolarmente cruciale in un anno segnato da tensioni geopolitiche e nuovi dazi. Il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo, ha sottolineato l’impegno di Vinitaly nel supportare istituzioni e imprese all’estero. Tra le prossime iniziative c’è un evento promozionale presso l’Ambasciata d’Italia a Washington, rivolto ai legislatori statunitensi e volto a rafforzare i legami in vista della seconda edizione di Vinitaly USA a Chicago in programma a ottobre.

Ma dietro le celebrazioni si sono svolti anche dibattiti impegnativi su dazi, ostacoli normativi e il futuro dei vini a bassa gradazione alcolica. Vinitaly 2025 non è stato solo una vetrina d’eccellenza, ma anche una cassa di risonanza per le preoccupazioni, le strategie e le opportunità che stanno plasmando il prossimo capitolo del vino italiano.

Dazi e decisioni difficili: aumentano le tensioni sul mercato statunitense

Uno dei temi più dibattuti quest’anno è l’impatto dei nuovi dazi statunitensi sul vino italiano. Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini (UIV), lancia un allarme: “i distributori americani si rifiutano di assorbire i costi aggiuntivi, lasciando i produttori italiani sotto pressione per mantenere i prezzi di vendita o rischiare perdite di mercato”.

L’impatto stimato? Ben 323 milioni di euro all’anno, con un impatto su quasi 480 milioni di bottiglie. Frescobaldi esorta le aziende italiane a mantenere la posizione e chiede un sacrificio collettivo lungo tutta la filiera, compresi rivenditori e partner logistici. Fa inoltre appello al governo italiano affinché adotti soluzioni diplomatiche a livello UE per evitare che si ripeta lo scenario francese del 2020, dove dazi simili hanno portato a un calo del 28% delle esportazioni di vino verso gli Stati Uniti. Di fronte a questa pressione, l’urgenza di diversificare il mercato sta crescendo. Sebbene gli Stati Uniti rimangano un pilastro delle esportazioni vinicole italiane, affidarsi eccessivamente a un solo mercato rappresenta una vulnerabilità che il settore non può più permettersi.

È incoraggiante che Vinitaly 2025 abbia evidenziato questo cambiamento: le presenze degli acquirenti dal Regno Unito sono aumentate del 30%, mentre Belgio e Paesi Bassi hanno registrato un aumento del 20% e Giappone e Svizzera del 10%.  Questi segnali confermano la crescente domanda da parte di paesi con una base di consumatori matura e orientata al segmento premium, offrendo ai produttori italiani nuove opportunità di crescita oltreoceano. Nonostante questi ostacoli, gli Stati Uniti rimangono il principale mercato di esportazione italiano, rappresentando il 24% delle esportazioni totali di vino. È un rapporto che l’Italia non può permettersi di indebolire, e Vinitaly lo ha chiarito in modo inequivocabile.

“La sospensione dei dazi è un passo nella giusta direzione, ma resta solo un primo spiraglio di luce. Un’aliquota del 10% può essere gestita nel breve termine, ma non rappresenta una condizione sostenibile né auspicabile. Servono certezze normative e una cornice commerciale chiara e stabile. Abbiamo bisogno di stabilità per investire, crescere e difendere il valore del Made in Italy”, spiega Micaela Pallini, Presidente di Federvini. Tra il 2019 ed il 2021 i liquori italiani sopportarono un dazio del 25% nell’ambito della querelle Boeing Airbus. “Come ha ricordato recentemente la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la vera sfida è arrivare alla formula ‘zero per zero’, ovvero azzerare i dazi per evitare danni tanto all’Ue quanto agli Usa. Auspichiamo che il suo prossimo viaggio negli Stati Uniti possa contribuire a riaprire un negoziato equo, duraturo e vantaggioso per tutti i Paesi europei” conclude Micaela Pallini.

Vini analcolici: tra innovazione e regolamentazione

Il segmento No-Lo (a basso contenuto alcolico e senza alcol) ha attirato grande attenzione al Vinitaly di quest’anno, sia per il suo potenziale di crescita che per la situazione di stallo normativo che ne ha bloccato lo sviluppo in Italia. A livello globale, si prevede che il mercato raggiungerà i 3,3 miliardi di dollari entro il 2028, trainato dagli Stati Uniti, che detengono una quota di mercato del 63%. In Italia, tuttavia, i vini No-Lo rappresentano solo lo 0,1% delle vendite. I produttori esprimono frustrazione per le ambiguità fiscali e le norme sulla separazione degli spazi che rendono la produzione nazionale praticamente impossibile almeno fino al 2026. Di conseguenza, i principali marchi italiani stanno esternalizzando la dealcolizzazione all’estero, danneggiando competitività e innovazione.

“Mentre altri paesi costruiscono navi, noi stiamo ancora elaborando piani”, ha osservato Martin Foradori, CEO di Tenuta J. Hofstätter, facendo da cassa di risonanza alle attese del mondo della produzione. Le richieste di un quadro giuridico chiaro si sono intensificate durante la fiera, poiché i leader del settore hanno spinto per una “regolamentazione ponte” per sbloccare gli investimenti e proteggere i primi utilizzatori dai rischi reputazionali”. Nonostante gli ostacoli, l’interesse dei consumatori è in crescita. Secondo l’Osservatorio dell’UIV, i consumatori italiani sono sempre più attratti dai vini No-Lo per motivi di salute, sicurezza e curiosità, soprattutto tra i più giovani. Con un’adeguata regolamentazione, questa nicchia potrebbe diventare un canale di diversificazione vitale per le cantine italiane.

“Dobbiamo analizzare il fenomeno con lucidità, come un’opportunità aggiuntiva, certo non risolutiva per il vino italiano – spiega Paolo Castelletti, segretario generale dell’Uiv –. Tassi di crescita così elevati riflettono un calcolo numerico a partire da numeri molto bassi, ma resta il dato tangibile di un interesse per un mercato che può rappresentare un alleato importante per le cantine italiane. Abbiamo fotografato una platea di consumatori disposti a sperimentare, sempre meno ancorati ad una sola bevanda. I No-Lo in questo senso sono un’ulteriore possibilità più che un’alternativa, legati a un consumo situazionale. A fare la differenza sarà la qualità del prodotto”.

Enoturismo: una risorsa in rapida maturazione

Uno dei segnali più incoraggianti di Vinitaly 2025 è arrivato dal settore dell’enoturismo. Il nuovo format “Vinitaly Tourism” e un report di riferimento del Movimento Turismo del Vino e del CESEO hanno evidenziato come le cantine si stiano adattando alle tendenze esperienziali e alle identità regionali.

L’enoturismo italiano non si limita più alle degustazioni. In tutto il Paese, soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud, le cantine offrono yoga nei vigneti, tour in bicicletta tra i vigneti, festival del vino con musica dal vivo e persino laboratori artistici tra i vigneti. Toscana e Umbria sono in testa con esperienze premium con prezzi fino a 170 euro, mentre le cantine del Sud hanno adottato la comunicazione digitale e l’interazione sui social media, nonostante i tassi di conversione siano ancora in ritardo.

Rimane una sfida: molte cantine del Centro e del Sud Italia sono ancora chiuse nei fine settimana, perdendo opportunità chiave per attrarre visitatori occasionali. Tuttavia, il messaggio è chiaro: l’enoturismo si sta evolvendo rapidamente ed è diventato un motore essenziale per la fidelizzazione del marchio e la differenziazione del mercato. Come ha affermato Violante Gardini Cinelli Colombini, presidente di MTV: “La differenziazione è la chiave per soddisfare le esigenze dell’enoturista contemporaneo. Non si tratta più solo di mostrare la cantina, si tratta di creare ricordi”.

Occhio ai giovani

Sempre più importante l’attenzione per i giovani, a dimostrazione che, alla fine, la domanda del mercato è ciò che conta per indirizzare l’evoluzione del comparto vitivinicolo. Ecco la fotografia dei consumatori di vino under 44 americani e italiani scattata e illustrata dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly: considerano il vino uno status symbol, sono disposti a spendere per etichette super premium ma sono infedeli rispetto ai brand, stappano in compagnia e non vogliono rinunciare ai cocktail.

Sotto la lente, i mercati italiano e quello statunitense (pari, insieme, al 60% del fatturato complessivo delle vendite di vino italiano) e le fasce più giovani della popolazione che, in un contesto generalizzato di calo dei consumi che ha visto il quarto anno consecutivo di contrazione in Italia e terzo negli Stati Uniti, il vino deve saper intercettare e comprendere. Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base Iwsr, Millennials (tra i 28 e 44 anni) e GenZ (dalla legal drinking age ai 27) rappresentano la terra promessa di un ricambio generazionale tanto necessario quanto complicato, un territorio ancora in buona parte fuori dai radar del vino italiano. Lo studio smentisce l’immaginario comune che ritiene le nuove generazioni molto lontane dal vino. Viceversa, gli under44 spendono di più e di fatto stanno tenendo a galla un mercato premium minacciato dalla retromarcia di boomer (tra i 61 e 79 anni) e GenX (45-60 anni).

In Italia e negli Usa quasi la metà degli astemi appartengono alla generazione boomer, seguiti dalla GenX (23% negli Usa e 30% in Italia). GenZ e Millennials rappresentano complessivamente solo 3 astemi su 10 negli Stati Uniti e 2 su 10 in Italia. La tendenza sober curious si inverte nel caso dei cosiddetti periodi “dry”, che negli Usa vedono in prima fila gli under 44, con una quota disposta a parentesi temporanee di astinenza che tra i più giovani (GenZ) raggiunge il 60% negli Usa e il 46% in Italia. Più bassa la propensione degli over, con share che si attestano attorno al 30% negli Usa e al 25% in Italia.

La saga dei naturalisti

Infine, riflettori puntati sui vini naturali, spesso protagonisti di polemiche più o meno fondate. Al Vinitaly di Verona, proprio negli spazi della fiera, è arrivato il gruppo dei Raw Wine (letteralmente vini crudi, la cui filosofia rientra nella grande famiglia dei naturali) al suo esordio in Italia. Raw Wine è oggi la più grande comunità globale di produttori di vino naturale, biologico, biodinamico e a basso intervento, con fiere che si tengono in città importanti come New York, Los Angeles, Berlino e Tokyo. Fuori dal Vinitaly è rimasto invece Vite, vignaioli e territori, che nelle passate edizioni raccoglieva i piccoli produttori biologici, biodinamici e artigianali nel Padiglione F. Stavolta, per non restare a Verona, hanno scelto il Crowne Plaza dove si è svolto l’evento Vinari 2025 il 7 e l’8 aprile.

Ha fatto scalpore, invece, la notizia del ritorno in fiera di una delle vignaiole naturaliste della prima ora, Arianna Occhipinti: “Nessuno deve avere paura di confrontarsi e stare in mezzo agli altri. Ormai ho un’identità consolidata che mi permette di stare qui. Possiamo parlare con professionisti che sanno cosa sono i cru, fondamentali per apprezzare i miei vini di contrada. E poi il vino buono è trasversale”. A Vinitaly per la prima volta in uno stand tutto suo anche un altro vignaiolo artigianale siciliano, Nino Barraco: “Dopo tanti anni c’è bisogno di rigenerarsi con una visione individuale. Comunichiamo noi stessi, non la tecnica che utilizziamo. Tutti noi produttori facciamo vino e dobbiamo giudicare ciò che c’è nel bicchiere senza nasconderci dietro una tecnica. Adesso serve un confronto con il mondo istituzionale dei vini”.

Una fiera che riflette un settore in movimento

Vinitaly 2025 si chiude pertanto con un bilancio positivo: un aumento del 7% degli acquirenti esteri, ottime performance da mercati chiave come Stati Uniti, Regno Unito e Germania, e un coinvolgimento record per nuovi settori come il No-Lo e l’enoturismo. Nonostante un calo del 20% dei visitatori dalla Cina, la presenza internazionale complessiva è rimasta solida. Per la prima volta, due commissari europei hanno visitato la fiera, a dimostrazione della sua crescente rilevanza politica. Con nuovi negoziati commerciali e riforme normative all’orizzonte, Vinitaly non è solo una fiera. È un palcoscenico in cui si negozia il futuro del vino italiano, tendenza dopo tendenza, accordo dopo accordo. Mentre il settore si prepara ad affrontare l’incertezza, una cosa è chiara da Verona: il vino italiano non fa passi indietro e si attrezza per le nuove sfide.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient